«Colleziono locandine della Nuova Venezia per indagare la realtà»

Gabriele Del Pin alla Collettiva Giovani Artisti con 576 esemplari raccolti dal 2010 «L'artista contemporaneo per me è un uomo che si occupa del proprio tempo»

È stato attratto dalle locandine de La Nuova di Venezia e Mestre da subito. Prima lo ha colpito la grafica, poi ha iniziato a seguire anche il contenuto. Così, nel corso di qualche anno, l'artista Gabriele Del Pin, classe 1981, ha iniziato a collezionare centinaia di locandine fino a trasformarle in una vera opera d'arte. Il risultato è esposto alla Galleria di Piazza San Marco della Fondazione Bevilacqua, alla centesima Collettiva Giovani Artisti, in una stanza con 576 locandine del nostro giornale.

Gabriele Del Pin, come sei arrivato a Venezia?

«Per studio, ma poi non sono più riuscito a farne a meno. Sono nato a Udine, mi ero trasferito qui per frequentare la triennale dell'Accademia delle Belle Arti, indirizzo Nuove tecnologie per l'arte. Quando ho concluso il mio percorso sono tornato a Udine, ho collaborato per un anno con la rivista satirica Mataran, ma poi mi mancava Venezia e sono tornato per iscrivermi alla specialistica, questa volta però con indirizzo pittura. Faccio parte dell'Atelier di pittura espansa del professor Manuel Frara».

Cosa vuoi fare da grande?

«L'artista, anche se quando pronunci questa parola tutti pensano che non stai facendo niente. Per me l'artista contemporaneo è, come diceva Marcel Duchamp, un uomo che si occupa del proprio tempo. Anche nei miei lavori cerco di occuparmi di attualità.

Come ti sei avvicinato alla Nuova?

«Quando mi sono trasferito a Venezia ho notato subito le locandine per i colori che avevano un forte impatto e risaltavano sugli altri. Mi piaceva l'accostamento del giallo e del nero, il font usato e ho iniziato a leggerli con crescente interesse. Lo strillo ti racconta la notizia del giorno e, quando inizi a leggerli ogni giorno, ti svelano sempre un pezzo in più della città. Devo premettere che io sono uno che ha un problema di accumulo seriale, quando inizio non riesco più a fermarmi».

Quando hai iniziato a chiederli agli edicolanti?

«Non avevo ancora ben chiaro quello che volevo fare, ma sentivo che li volevo. Ho iniziato a chiederli quando abitavo a Mestre in via Ernesto Bonaiuti, poi mi sono trasferito a Venezia vicino a San Barnaba e ho chiesto anche là. Adesso ho circa 600 locandine, raccolte dal 2010 saltuariamente, ma dal settembre 2015 al luglio 2016 ogni giorno.

Quali sono le locandine che ti hanno colpito di più?

«Ho imparato che cos'è un mototopo, solo a Venezia può esistere una parola così. Non avevo mai sentito parlare di mototopi e mi ha fatto molto ridere la parola. Da quel giorno ho iniziato a collezionarli e a soffermarmi sulle frasi, come quando ho letto anziano muore ballando e ho pensato che quella era la fine perfetta per chiunque. O quando è uscita la foto della macchina sul ponte di Calatrava, quella è una locandina storica. Infine, i gabbiani aggressivi....questo accade solo qui».

Com'è nata l'idea dell'opera esposta?

«Volevo ricreare l'impatto delle notizie nella nostra era, siamo martellati e bombardati di notizie. È un lavoro che risucchia il visitatore e rompe le barriere tra soggetto e oggetto. Chi è in mezzo alle locandine viene letteralmente travolto, esattamente come accade nella nostra vita. Devo dire poi che le vostre mi piacciono particolarmente, vorrei conoscere chi le scrive».

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Che idea ti sei fatto della città attraverso le locandine?

«Ho visto che per esempio a Mestre ricorre molto la parola baby gang, mentre a Venezia il turismo. Quando le leggi sono una vera storia, alcune sono divertenti, altre molto forti, alcune violente e qualcuna macabra. È uno spaccato della vita. Sicuramente ho realizzato anche dalle locandine che Venezia è una città impattante che vuole fare sentire la propria voce, ma nello stesso tempo tende a isolarti, come se volesse attirare tutta l'attenzione su di sé. Soltanto quando è morta Valeria Solesin si è parlato del mondo fuori, di quello che c'è negli altri Stati. Certo, è un giornale locale, ma a volte mi è sembrato proprio che Venezia volesse calamitare tutto su di sé».

Hai in mente di proseguire il lavoro con i giornale?

«Mi piacerebbe molto sviluppare ancora di più il lavoro sull'impatto che hanno i quotidiani sulla gente e, ovviamente, continuerei a scegliere La Nuova».

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