Collezione Callas, ecco la storia del salvataggio
VENEZIA. La Collezione di cimeli di Maria Callas di Bruno Tosi «salvata» dalla Fondazione Marzotto che l’ha acquisita dall’associazione fondata dal giornalista e press agent veneziano e la esporrà in una mostra permanente a Villa Trissino nel Vicentino. È il probabile lieto fine di una storia ingarbugliata che riguardava il lascito della collezione di cimeli e documenti legati al mito di Maria Callas, a cui aveva dedicato l'omonima Associazione da lui fondata, per mantenerne viva la memoria, con una serie di mostre itineranti che avevano toccato negli anni le principali capitali mondiali e ancora proseguivano.
Perché oltre ai cimeli callasiani, c’erano purtroppo i debiti accumulati nella sua attività da Tosi - uomo di straordinaria generosità, ma non un amministratore - e soprattutto la spinosa vicenda giudiziaria legata all’utilizzo improprio del logo della Fenice da parte degli stilisti Dolce e Gabbana su abiti e allestimento della sfilata per la collezione donna autunno/inverno 2009-2010 dedicata a Maria Callas. La Fenice si era mossa per tutelare il suo marchio, ma la celebre griffe aveva negato qualsiasi abuso di utilizzo, forte proprio di un accordo con l’associazione culturale fondazione Maria Callas - del regista veneziano Bruno Tosi - titolare dei diritti sull’immagine del celebre soprano, spiegando che erano state semplicemente riprodotte le locandine delle esibizione della cantante alla Fenice. Alla fine della causa, Dolce e Gabbana avevano dovuto gettare nel cestino la collezione Callas e pagare 50 mila euro alla Fenice per l’uso improprio del marchio, ma si erano rivalsi proprio su Tosi. Ma anche qui, fortunatamente, tutto si è aggiustato, come spiega l’avvocato Paolo Polato, che ha curato la liquidazione dei beni dell’Associazione.
«Gli stilisti hanno capito la situazione - dichiara - e si sono accontentati di un risarcimento limitato. Pertanto la cessione dell’intero archivio Tosi alla Fondazione Marzotto ha consentito di reperire le risorse necessarie a sanare tutte le situazioni debitorie precedenti, garantendo quello che lui stesso aveva sempre desiderato, l’esposizione permanente al pubblico della collezione Callas». Una collezione raccolta da Tosi negli anni, con modalità note a lui solo e ora difficilmente riconducibili a un inventario o a una classificazione classicamente museale. I carteggi sono tra gli elementi più certi, come le lettere inedite tra la Callas e il marito, l'industriale Giovanni Battista Meneghini, acquistati all’asta da Sotheby’s da Tosi nel 2007, in cui gli esprime riconoscenza o amore. O quelle appassionate con Pier Paolo Pasolini, ai tempi di “Medea” in cui non si capacitava - come raccontava Tosi - che la loro relazione dovesse restare solo platonica. O gli abiti usati dalla Divina per gli ultimi due concerti: quello azzurro a San Francisco, quello rosso a Tokyo. E i meravigliosi abiti da sera creati per lei da stilisti come Yves St.Laurent, Christian Dior, Biki, Lanvin, tra gli altri. E ancora gli oggetti di scena, dai ventagli di Traviata al pugnale o ai diademi di Tosca.
Una raccolta composita, di ardua lettura e classificazione, di provenienza nota solo a chi l’aveva raccolta con amore e impeto negli anni come aveva fatto Bruno Tosi, che avrebbe voluto vederla esposta in permanenza a Venezia, ma che vedrebbe probabilmente con favore l’idea di «trasferirla» in permanenza nella quattrocentesca Villa Trissino, che il conte Giannino Marzotto acquistò nel dopoguerra, per recuperarla interamente dopo le precedenti spoliazioni. La Fondazione del Teatro La Fenice - quello più amato da Tosi, tanto da volere organizzare qui ogni anno il suo prestigioso premio “Una Vita per La Musica” - si prese cura di portarlo avanti, modificandone in parte la formula, ora affidata al musicologo Mario Messinis. Invece del tributo a un singolo talento musicale - da Rubinstein a Segovia, da Bernstein a Rostropovich, ma l’elenco è infinito - saranno premiati ogni anno un compositore, un musicologo e un musicista scelto tra i cosiddetti “emergenti”.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia