Clooney e Amal sposi a Venezia tra applausi e proteste
VENEZIA. Al quarto giorno di dai e dai, davanti alla legge italiana e al mondo intero, preceduti dallo struscio solitario di un gatto nero e bersagliati dai fotografi che avevano guadagnato i tetti dei palazzi di fronte a Ca’ Farsetti, George Clooney e Amal Alamuddin sono diventati marito e moglie. Il copione perfetto di una cerimonia fulminea nella Sala degli Stucchi consegna una coppia di squisita eleganza, multilingue e globale, l’America e il Medio Oriente che si tengono per mano, l’abbraccio dei popoli, gli addendi di due fortune economiche, sociali e mediatiche la cui somma diventa incalcolabile.
Dopo il mulinare di bottiglie di tequila Casamigos e il vorticoso cambio di abiti, le maschere di argilla sulla faccia di entrambi e i cortei dogali in Canal Grande; dopo aver indennizzato i reporter con milioni di scatti e ringraziato i loro cento invitati facendo trovare nelle camere dell’hotel Cipriani una loro foto da fidanzati e un Ipod con la loro musica preferita, George e Amal sbarcano in riva del Carbon come una coppia che guarda ben oltre l’inizio di calvizie di Walter Veltroni e ben oltre Hollywood.
Lui in grigio e occhiali da sole, lei nella livrea della sua bellezza, magra come un giunco, pantaloni e bolerino color panna, tacchi questa volta ben ammaestrati, non ancora signora Clooney e già consapevole che il suo aspetto la sta separando dal resto dei comuni mortali. Il suo cappello bianco con il nastro nero, frutto (anche) dei suggerimenti non completamente disinteressati della direttrice di Vogue America Anna Wintour, da oggi sarà già in produzione dalle catene di abbigliamento low cost, così come accadde per l’abito di fidanzamento di Kate Middleton.
Amal, forse ancora più di George, è il vero core business di questo matrimonio, colei che all’Aman Resort sarà ricordata per sempre per aver fatto e disfatto l’arredamento e saccheggiato gli antiquari di mezza città pur di avere alla sua festa di nozze «more and more and more». È Amal, più di George, perché tanto l’uomo è perso, che guardano le donne pigiate davanti al municipio per sapere fino in fondo chi è la donna che ha potuto più di tutte le altre, quella che Clooney ha preferito all’italica Canalis e certo, ricordando le foto delle strappone al matrimonio dell’ex velina di quindici giorni fa, la risposta se la danno da sole.
«Meno Canali più Canalis, no al Contorta» recita comunque un cartello di protesta davanti a Ca’ Farsetti. Nel giubilo e nello sfinimento dell’attesa - fino a quattro ore in riva per le più coriacee dalle 10 del mattino - si agitano i dipendenti comunali il cui stipendio annuo è inferiore a quanto speso dal suocero di George per la festa di addio al nubilato della sua bambina. Nel delirio cloonesco si infila anche un matrimonio programmato alla stessa ora ma nel vicino Palazzo Cavalli. Sposi e amici finiscono per qualche istante ai margini dell’occhio di bue acceso su George e Amal e poi, galvanizzati dalla gloria imprevista, salgono su un granturismo. Sessanta tra vigili urbani e poliziotti garantiscono il blocco del traffico e lo spiegamento di forze dell’ordine sarà in vetta alle querimonie sul presunto asservimento della città ai capricci di Clooney. Troppo?
Qualche vaporetto in ritardo e un moto ondoso pari a quello dei giorni della Biennale e della Mostra del cinema saprà indennizzare i brontoloni e chi è stato escluso dal banchetto che, a spanne, ha creato un indotto di un milione e mezzo di euro ricaduti a cascata sulle centinaia di persone coinvolte nella messa in scena dell’evento. Alberghi, fioristi, ristoratori, taxisti, parrucchieri, visagisti, operai, elettricisti, camerieri, facchini e pelapatate. Oltre al ritorno d’immagine che ha già collocato l’hotel Cipriani e l’Aman tra i must see di Venezia mentre George e Amal lasciavano la laguna su un volo privato diretto a Londra perché, al quinto giorno, si dovranno anche un po’ riposare.
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