Clan dei Casalesi, Iniziato il processo d’appello. La Procura va giù duro: «A Eraclea fu mafia»
Prima udienza per i ricorsi dei condannati con rito abbreviato
I pm citano la Corte di Cassazione e “Mafia capitale”
ERACLEA. Citano la sentenza della Cassazione su “Mafia Capitale”, la procuratrice generale Marina Carmela Barbara Ingoglia e il pubblico ministero Roberto Terzo - davanti alla Corte d’Appello, presieduta da Carlo Citterio - per sostenere che, sì, ad Eraclea operò per decenni un’associazione per delinquere di stampo camorristico.
L’inchiesta “Casalesi di Eraclea” torna, così, in aula.
Mentre davanti al Tribunale di Venezia è ancora ben lontano dal concludersi il processo di primo grado ai presunti capi del sodalizio – Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, affiancati dagli altri imputati che hanno scelto il rito ordinario – è già arrivato in appello il giudizio per quanti scelsero il rito abbreviato, condannati in primo grado dalla giudice per le udienze preliminari Michela Rizzi. Sentenza impugnata dalle difese.
Ieri, primo giorno di udienza e voce all’accusa, che ha usato le parole della Cassazione – che pur negando l’esistenza di una “mafia romana”, ha fissato i criteri per definire quando un’organizzazione criminale sia mafiosa – sostenendo che ad agire ad Eraclea non erano persone che «spendevano solo il nome dei casalesi, ma un’associazione che ha agito con atti intimidatori ripetuti, messo bombe, sparato alle vetrine, operato con azioni di assoggettamento e intimidazione concreti, che ne fanno un’associazione mafiosa».
La Procura ha ribadito di aver scelto la linea di imputazione più rigorosa – che non fa sconti – forte anche della sentenza di primo grado della gup Rizzi: «Qui non siamo davanti a millanterie o a una persona che ha conoscenze mafiose», ha sostenuto l’accusa, «ma ad atti ripetuti intimidatori di stampo mafioso».
Nella prima giornata di udienze, la Pg ha così chiesto la conferma delle condanne per il gruppo di imputati accusati di aver fatto parte del sodalizio: Girolamo Arena (collaboratore di Giustizia), Antonio Basile, Vincenzo Chiaro, Saverio Capoluongo, Nunzio Confuorto, Antonio Puoti, Giacomo Fabozzi e Christian Sgnaolin (braccio destro finanziario di Donadio, che ha collaborato alle indagini). Unica riduzione di pena richiesta sinora dalla pubblica accusa, quella per Antonio Cugno, con ricalcolo della pena base da 10 a 7 anni, più i benefici del rito abbreviato.
L’accusa proseguirà nelle sue richieste nell’udienza già fissata per il 7 gennaio. Poi parola alle parti civili e, naturalmente, almeno due udienze dedicate alle difese, che contestano l’assunto “mafioso”.
Tra quanti hanno presentato appello contro le condanne di primo grado - dichiarandosi estranei alle contestazioni - anche imputati non accusati di associazione mafiosa, come l’ex sindaco di Eraclea Graziano Teso, condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per favoreggiamento esterno.
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