Cittadini e nuove tecnologie: Venezia e il diritto alla rete

L'intervento di Gianfranco Bettin su Internet come strumento di libertà
VENEZIA. La rete Internet è «un’infrastruttura essenziale nell’esercizio dei diritti di cittadinanza». Il Comune di Venezia intende inserire questa impegnativa dichiarazione tra i principi fondamentali del proprio Statuto, ciò che ispira e motiva le linee principali del proprio agire. E’ una scelta che va nel senso di altre iniziative tendenti a far riconoscere l’accesso alla Rete come requisito forte di una vera cittadinanza, un po’ come il diritto all’istruzione, che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione e al quale nessuno, ovviamente, penserebbe di rinunciare (lo hanno capito, da tempo, anche i giornali, come dimostra il nuovo sito della Nuova).


In realtà, molte parti del nostro paese, e dello stesso territorio comunale, non hanno ancora facilità o possibilità di connessione. E molta parta della popolazione non si trova a proprio agio nella Rete, non la conosce o non la capisce.


A parte i «nativi digitali», i giovani e giovanissimi che sono nati già dentro l'epoca della Rete (come ci fu l'epoca dei nati con la tv), quasi tutti gli altri stentano a cogliere le opportunità insite nelle nuove tecnologie (quelle dell'universo ICT: Information and Communication Technology). Ne hanno soggezione o ne diffidano.


E' un divario, quello «digitale», che va perciò contrastato su più fronti. Va superato il differenziale strutturale, completando l'infrastruttura che consente ai territori di accedere alla Rete.


Per questo il Comune di Venezia - insieme alla propria azienda strumentale Venis - da qualche anno sta investendo in proprio - e continuerà a farlo - posando migliaia di chilometri di fibre ottiche (con cavi di nuova generazione che portano 144 fibre ognuno) e creando un vero e proprio «arcipelago» di isole wi-fi grazie a centinaia di hotspots seminati dove ancora la Rete non arriva (e connettendo circa duecento sedi pubbliche). Al tempo stesso ha avviato una campagna di «alfabetizzazione digitale» per contribuire a superare anche il divario culturale, che spesso impedisce di sfruttare le possibilità già aperte dalla presenza della Rete.


Al recente convegno sulla «banda larga» (cioè sulla connessione veloce e potente) tenutosi al Vega per iniziativa del direttore del nostro parco scientifico-tecnologico, Michele Vianello, che già da amministratore comunale aveva dato un impulso decisivo allo sviluppo di una nuova politica nel settore, Confindustria veneta ha presentato una ricerca che dimostra come, anche nell'impresa, le resistenze e le arretratezze culturali creino un gap che si ripercuote sulle stesse prospettive economiche e industriali.


Una recentissima indagine Istat su «Cittadini e nuove tecnologie» ha evidenziato inoltre come in oltre il 40% dei casi le famiglie italiane non abbiano accesso a Internet per «mancanza di capacità». E' anche per questo, oltre che per mancanza di investimenti infrastrutturali (e per una legislazione arretrata e, fino al recente e benvenuto superamento della legge Pisanu, decisamente oscurantista), che l'Italia è in Europa, al ventesimo posto per utilizzo della Rete. Il giurista Stefano Rodotà sta da tempo animando - insieme alla rivista guida del settore, Wired, diretta in Italia da Riccardo Luna - un'iniziativa che punta a introdurre il diritto all'uso della Rete nella nostra Costituzione.


In generale, nel mondo intero, le potenzialità di tale accesso sono sempre più riconosciute. «Internet è un dono del cielo», ha detto Liu Xiaobo, il cinese premio Nobel per la pace 2010, e alludeva certo al contributo che la Rete sta dando al miracoloso sviluppo economico e tecnologico della Cina ma, ancor più, alla sua capacità liberatoria, al potenziale democratico che esprime. Non è un caso che, in tutto il mondo, i regimi autoritari la vedano come un pericolo.


La scelta veneziana, quindi, e la proposta di Rodotà, alludono a entrambe le prospettive: la Rete come spazio e strumento di libertà e di trasparenza e come mezzo per sviluppare iniziativa, studio, ricerca, relazioni, impresa. Per facilitare e anzi per produrre interattività, dialogo e confronto sistematico tra cittadini e amministrazione. Fa parte integrante del disegno veneziano, infatti, lo sviluppo di piattaforme digitali - a partire da Venice Connected - che consentano questo confronto e il loro successo - con migliaia di iscritti, campionessa dei quali è la signora Matilde, nata l'8 dicembre 1911: non è mai troppo tardi, davvero! - dimostra che ce n'era bisogno, che rappresentano un contributo al rinnovamento delle forme e della qualità della partecipazione (e della trasparenza: tutti gli atti dell'amministrazione sono, ora, in tempo reale o quasi, in Rete).


Non si tratta, ovviamente, di mitizzare o esaltare acriticamente lo strumento, come pure capita, né di ignorarne rischi o degenerazioni (come avverte uno dei più geniali innovatori delle ICT, Jaron Lanier, in un recente libro importante e in un intervento sull'ultimo numero della stessa Wired). Si tratta di sfruttarne a pieno le potenzialità e di metterle a disposizione di tutti. Con senso critico, certo.


Sul muro di un portico nel cuore medievale di Mestre, tracciata con grafia giovanile e spavalda, c'è una scritta: «I don't wanna be your friend on Facebook!». Ci giurerei che è opera non di un neo luddista, nemico delle nuove tecnologie, ma di uno (o una) che le conosce benissimo e le usa, ma vuole ancora di più.


Vuole amicizia vera, vita vera. Appunto: è uno (o una) che ha capito fino in fondo, positivamente, il rapporto tra mezzo e fine.

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