Carnevale di Venezia, Cipriani all’attacco: «Rimpiango Scaparro»
Il patron dell’Harry’s bar guarda agli anni Ottanta: «C’era spontaneità». Da piazza San Marco, Vernier: «Le persone sono meno coinvolte»

Transenne o non transenne, è questo il dilemma? Se la gestione dei flussi con sensi unici e corsie mobili è stata apprezzata negli ultimi due fine settimana, c’è chi cerca di guardare alla questione con uno sguardo più ampio. «Sicuramente si è trovato un modo per gestire il problema nel migliore dei modi», riflette il presidente dell’associazione Piazza San Marco Claudio Vernier, «ma è pur sempre un modo emergenziale per affrontare un problema ben più ampio, che è l’overtourism, che è avere un certo numero di persone in contemporanea in città».
Si torna quindi all’immagine di inizio Carnevale, con il muro di persone sul ponte di Rialto al momento del passaggio del corteo acqueo della Pantegana di cartapesta.
«L’overtourism non lo vogliono né i cittadini, né i turisti, né chi viene in città in giornata», continua Vernier, «da Carnevale vissuto siamo passati a una manifestazione in cui ci si mette la maschera, ma è sempre meno coinvolgente».
Vernier riflette anche sull’impatto che le immagini del ponte di Rialto con le transenne hanno nel resto del mondo. «Quello che vorrei che capisse chi fa politica è che questo è un pessimo biglietto da visita, è un boomerang verso l’estero», dichiara Vernier.
Quindi, il discorso torna sull’offerta e la programmazione di Carnevale. «La formula di eventi e spettacoli diffusi ha avuto i suoi frutti, pur con il pesante sacrificio di manifestazioni come il corteo sull’acqua a Cannaregio e il volo della Colombina in piazza che è stato un colpo al cuore», dice Vernier, «ma ci rendiamo conto che non ci sono strumenti perché questi eventi possano avvenire in maniera serena. E si torna a monte, il problema è punto di rottura: si sta andando troppo oltre e bisogna avere il coraggio di intervenire, con misure reali e non con palliativi che non risolvano il problema».
Sul Carnevale si alza anche la voce di Arrigo Cipriani, storico patron dell’Harry’s Bar, ritornato proprio ieri nella Serenissima. Lo sguardo di Cipriani va indietro agli anni Ottanta, al Carnevale di Scaparro. «Sono sempre stato rapito da quel Carnevale, nel 1980, che si era unito al festival di teatro della Biennale», ricorda Cipriani, «allora Venezia si era trasformata in un teatro globale, era una cosa da levare il fiato».
E stronca, invece, ciò che è arrivato dopo. «Oggi, ci sono solo imitazioni penose, con paggetti, maschere vuote, è tutto finto», dice perentorio.
E continua: «Allora le maschere erano vere, coprirsi il volto significava nascondersi dagli altri e cercar di esprimere quello che non si poteva essere durante l’anno: era straordinario». L’Harry’s bar era un via vai continuo. «Tenevamo le porte aperte, entravano mille persone per uscirne con maschere completamente diverse», racconta Cipriani, «da quegli anni Ottanta, le cose sono peggiorate: il palco in piazza San Marco ha distrutto quella magia. Il Carnevale o è spontaneo, o non è tale». Cipriani ricorda anche le piccole orchestre che animavano la città in ogni angolo. «Adesso è tutto finto, ma non è un problema solo veneziano», sottolinea, «è finto come il mondo che ci circonda, esprime il momento politico e sociale che stiamo vivendo».
Sempre sulle colonne della Nuova, sul futuro del Carnevale si sono interrogati anche i docenti Laura Fregolent (Iuav)e Jan van Der Borg (Ca’ Foscari), invocando a loro volta la necessità di un ragionamento a monte.
«Sul fronte quotidiano, è necessario un nuovo patto tra soggetti economici e non, mentre sul Carnevale bisogna pensare a quale sia il progetto. In questo momento, i veneziani se ne tengono alla larga, si sta chiusi in casa o si scappa. Non è questione di nostalgia, è di avere un progetto», aveva detto Fregolent.
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