Chiude il self service, 15 lavoratori a casa

Sfratto al locale in riva del Carbon, storico riferimento per i dipendenti comunali. Potrebbe aprire un supermercato
Di Vera Mantengoli

Era il punto di riferimento per i lavoratori, ma il 31 ottobre chiuderà per sempre i battenti per sfratto. Il titolare Alessandro Causo non ha avuto scelta e si è trovato costretto a lasciare a casa 15 dipendenti storici. Dalla fine degli anni Settanta il «Self Service Rialto» in Riva del Carbon diventa una seconda casa per chi vuole trascorrere l’ora di pausa pranzo in completo relax, con piatti ogni giorno diversi e un servizio quasi famigliare. Insomma, uno di quei luoghi che, pur trovandosi nel cuore del flusso turistico, riesce a servire i veneziani, in particolare chi, come i dipendenti comunali, lavora nei paraggi. Appresa la brutta notizia proprio loro hanno scritto una lettera di ringraziamento su un cartellone giallo, affisso alla vetrina che dà sulla fondamenta. Non si sa ancora che cosa diventerà lo spazio di 600 metri quadri, arredato con gli stessi mobili di sempre, un po’ retrò, ma con uno stile spontaneo e casereccio.

C’è chi dice che il proprietario della Gardenia Immobiliare voglia farci un supermercato, qualcuno invece pensa a una banca. Fatto sta che chiude un altro pezzo della Venezia dei veneziani.

«Fino al 1978 era un deposito» racconta il titolare, proprietario del ristorante Il giglio «poi lo ha rilevato Eliano Veraldo che lo ha trasformato in self service, scelta atipica per quel tempo, ma in linea con lo scopo, quello di essere un riferimento per i lavoratori della zona. Nel 1982 lo ha dato a mio padre Renato. Io sono nato nel 1972, quindi sono cresciuto proprio qui dentro. Ogni anno rinnovavamo il contratto, ma adesso il proprietario dell’immobile vuole vendere la licenza e io non posso acquistarla, quindi alla fine ce ne dobbiamo andare».

Tra i dipendenti c’è chi era a un passo dalla pensione, rinviata a causa della Legge Fornero: «Io sono qui dal 1982» racconta Claudio Santangelo, tra gli storici dipendenti insieme a Monica Scantamburlo e Giancarlo Vianello «e ormai conoscevamo benissimo la clientela. Proprio perché venivano sempre gli stessi lavoratori preparavamo ogni giorno piatti diversi e sapevamo cosa avrebbe preso una persona già da quando era in fila. C’è sempre stata una cordiale amicizia con tutti i clienti ed era veramente accessibile a tutti, perfino a chi aveva il buono pasto di 3 euro. A loro facevamo infatti metà primo, senza bisogno che dovessero aggiungere di tasca loro. Dove andranno adesso?».

Prima di chiudere definitivamente, il titolare ha cercato di trovare una soluzione, ma per un vincolo imposto dal Comune in questa zona non possono esserci catene di fast food, gli unici che si erano fatti avanti.

Ieri l’atmosfera era triste, riscaldata solo dalle parole della lettera firmata da chi lavora a Ca’ Farsetti. «Voglio ringraziare gli uomini e le donne che in questi anni hanno sempre dimostrato disponibilità, efficienza e professionalità verso tutte le persone con cui hanno condiviso i loro momenti di pausa, momenti importanti e veloci, come spesso sono le cose che hanno un valore nascosto (…)».

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