Chioggia, bancarotta per il terreno del Gpl: in due davanti al gip

Indagini chiuse sui fratelli Costa titolari della Costa Petroli.

Avrebbero svenduto l’area  a un’azienda di famiglia

per cederla a un valore monstre

Roberta De Rossi

La Procura ha concluso le indagini sui fratelli Roberto e Giorgio Costa e le vicissitudini della loro società Costa Petroli, dichiarata fallita nel 2015 dal Tribunale di Venezia con un passivo di oltre 6 milioni di euro. Il pubblico ministero Stefano Buccini si appresta a chiedere il rinvio a giudizio dei due imprenditori chioggiotti, contestando loro l’accusa di bancarotta fraudolenta per distrazione: per la Procura, alla vigilia della sentenza di fallimento, avrebbero venduto sottocosto a una società di famiglia un terreno di proprietà di Costa Petroli, per poi cederlo nel tempo per un valore decuplicato, superiore ai 3 milioni di euro. Beni e soldi così sottratti - secondo l’accusa - ai creditori del fallimento.

Si tratta di un’area in zona portuale a Chioggia diventata negli anni celebre perché ha ospitato i “bomboloni” del deposito di Gpl, poi bloccato dal Governo Conte. Area che, nel febbraio del 2014, Costa Petroli ha venduto per 290 mila euro alla Apre (sempre riconducibile ai due fratelli Costa), che infine l’ha affittata per 300 mila euro l’anno e un valore complessivo di 3,3 milioni, con un contratto “rent to buy” a Costa Bioenergie, le cui quote vennero infine cedute alla Socogas, la società che ha poi progettato il deposito di gas.

Una complessa vicenda che si articola anche in un lungo contenzioso civile avviato per recuperare beni dal curatore fallimentare, il commercialista Andrea Martin (per tramite dell’avvocato Cristiano Alessandri): la curatela ha vinto il primo grado, mentre la Corte d’Appello ha accolto il ricorso dei fratelli Costa (rappresentati dagli avvocati Simone e Riccardo Vianello). Ora il procedimento civile pende davanti alla Corte di Cassazione. Nel frattempo si è sviluppata l’inchiesta penale che ha preso il via dagli esposti ambientalisti contro il maxi deposito di gas e ha incrociato gli atti del procedimento civile.

«L’assunto della Procura è che si siano venduti questi terreni a un importo vile», commenta l’avvocato Simone Vianello, che metterà a punto la difesa con il collega Riccardo Vianello, «ma bisogna considerare vari elementi. In primo luogo, nel momento in cui Costa Petroli ha venduto il terreno, era fortemente indebitata e con quei soldi ha estinto un mutuo, saldando creditori privilegiati.

La Procura contesta una distrazione per differenza di valore, ma nella causa civile che abbiamo vinto in primo grado - e ora pende in Cassazione - il Ctu del giudice ha ritenuto che il valore dei terreni fosse abbastanza simile all’importo di vendita. Il valore di quei terreni è cresciuto successivamente, solo quando ha preso corpo il progetto di bunkeraggio: Socogas aveva bisogno di spazi per le distanze di sicurezza ed era disposta a pagare di più quello che qualche anno prima valeva meno».

Sin qui accusa e difesa: sul rinvio a giudizio e la contestazione dovrà decidere il gip. Prima udienza a dicembre.

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