Chiesero soldi al prete non fu truffa, assolti

Pianiga. Scagionati da ogni accusa due coniugi che realizzarono una camera,  bagno e studio a don Valentino Dalla Grana: «Sapeva cosa stava facendo»
Pianiga (Venezia). La chiesa 03/01/2002 © Light Image studio Baschieri
Pianiga (Venezia). La chiesa 03/01/2002 © Light Image studio Baschieri

PIANIGA. L’esposto per truffa era arrivato pochi giorni dopo la nomina dell’amministratore di sostegno nella persona di don Dino Pistolato, già direttore della Caritas, che si era accorto di movimenti a suo dire sospetti nei conti di don Valentino Dalla Grana, prete ultraottantenne che dopo 25 anni tra Marango e Castello di Brussa, a Caorle, si era ritirato in pensione a Pianiga. Ad aprire a don Valentino le porte di casa, la nipote della perpetua e suo marito. Il don si era integrato nella nuova comunità, concelebrava la messa, amministrava i sacramenti e diceva di stare bene. Ma, per ospitare il prete, era stato necessario apportare delle modifiche all’appartamento della coppia. Al primo piano erano stati ricavati una camera, un bagno e uno studio per il sacerdote, nell’interrato invece un mini appartamento per la figlia della coppia. M.F., 57 anni, e il marito V.C., 55 anni, avevano chiesto a don Valentino un contributo: 15 mila euro per la prima tranche dei lavori e un affitto di 500 euro al mese per otto mesi tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Il don si era poi trasferito al Centro Don Vecchi (morirà nel 2013), non prima che la coppia gli chiedesse di firmare una ricognizione del debito di altri 50 mila euro, sempre per pagare i lavori, parzialmente saldata con 20 mila euro di assegni.

«Si configura la truffa aggravata perché il prete era in una situazione di minorata difesa», ha detto la rappresentante della Procura ieri pomeriggio al termine della requisitoria nel procedimento per truffa che vedeva come imputati la nipote della badante e il marito, «i coniugi hanno chiesto 50 mila euro per i lavori, presupponendo una falsa rappresentazione della realtà: le opere effettuate non valgono così tanto». Per questo la rappresentante dell’accusa ha chiesto la condanna dei due a un anno di reclusione e 1.000 euro di multa.

«Si è trattato di una scrittura privata, il prete sapeva cosa stava facendo. Non ha mai detto di aver sottoscritto un atto contro la sua volontà», ha chiarito l’avvocato Vanis Zorzato, difensore della coppia, «Anche il consulente non ha riscontrato problemi nel prete: era lucido, orientato, consapevole degli impegni presi con una famiglia che lo trattava come uno zio». Per questo il difensore aveva chiesto l’assoluzione. Una linea, questa, accolta dal giudice monocratico Andrea Battistuzzi che ha assolto M.F. e V.C. perché il fatto non sussiste.

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