Chiesa trasformata in moschea dalla Biennale, padiglione a rischio chiusura

VENEZIA. «La moschea» è appesa a un filo che rischia di spezzarsi da un momento all’altro. Per motivi di sicurezza la Prefettura aveva sconsigliato l’apertura in quel posto dell’opera «La Moschea» dell’artista Christian Büchel, invitato dal Padiglione islandese per la Biennale di Venezia Arti Visive.

L’installazione, realizzata per dare finalmente alla comunità musulmana uno spazio decoroso in città dove pregare, rischia ora di chiudere i battenti in tempi record. Il documento della Prefettura è affisso proprio su una parete del Padiglione islandese.
Non c’è una data e, visto il contenuto, non si capisce nemmeno perché sia in bella vista. Quel che c’è scritto è il resoconto di un vertice con i massimi esponenti delle forze dell’ordine. E la conclusione è un «si ritiene che non sussistano i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione (…) in considerazione della superiore esigenza di tutela dell’incolumità pubblica». «Ferma restando la libertà di espressione artistica» si legge «si evidenzia la necessità, per ragioni di prevenzione e sicurezza, a tutela degli stessi organizzatori e dei cittadini visitatori, di installare tale padiglione in un altro sito più vigilabile (…) ciò in ragione dell’attuale clima internazionale e dei possibili rischi di attentato da parte di qualche estremista religioso che potrebbe ritenere offensivo l’accostamento di simboli dell’Islam a raffigurazioni cristiane, presenti all’esterno».
Il riferimento è alla presenza dell’installazione «Mecca - Cola» che «potrebbe altresì essere equivocato come un accostamento ironico ed offensivo per la religione islamica». Il documento si conclude rimandando a successivi contatti tra il direttore della Biennale e l’espositore islandese. La curatrice Nina Magnusdottir continua a ribadire che si tratta di un’opera d’arte e che si sono cercati altri luoghi, ma alla fine questo era l’unico disponibile. Ma il documento della Prefettura non è l’unico atto amministrativo in questione. Ca’ Farsetti ha infatti chiesto ai responsabili del Padiglione islandese di produrre un documento della Curia in cui si attesti che la chiesa si possa ridurre «a uso profano non indecoroso». C’è tempo fino al 20 maggio per presentarlo a Ca’ Farsetti, dopo oltre un mese di attesa. Tornando alle ragioni di sicurezza, sabato mattina i carabinieri hanno fatto un giro all’interno del Padiglione Islandese, prendendo i contatti con lo staff e dicendo di chiamare in caso di problemi legati alla sicurezza. La curatrice ha risposto che ci sono sempre due persone all’ingresso che si occupano di prestare attenzione a quello che succede.
Nel pomeriggio, dopo la chiamata al 113 di un cittadino che ha considerato l’invito a togliersi le scarpe per non rovinare i tappeti come obbligo di praticare un culto, è arrivata anche la polizia che ha compiuto un altro giro di conoscenza del personale.
Le polemiche aumentano la curiosità e la frequentazione dell’installazione. Quotidianamente la comunità musulmana si riunisce a pregare: «Non vietiamo nessuno di pregare» ha detto Magnusdottir «ben venga il dialogo interreligioso». E anche la politica s’infiamma. «Venezia» ha detto Sebastiano Sartori di Forza Nuova «non sarà simbolo di conquista islamica e siamo pronti a mobilitarci». Reazione opposta dal candidato sindaco per «Noi, la città» Camilla Seibezzi che fa un appello al Patriarcato: «Conceda i permessi richiesti e non consegnati per un errore da imputare al coordinatore della mostra. Si dimostri prodigo nell'accogliere un'istanza di dialogo così preziosa e dia un segnale sulla pacifica convivenza. L'opera esprime la necessità di un luogo di culto della comunità musulmana e non una banale provocazione».
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