Chiesa e pedofilia “Spotlight” scava dentro lo scandalo

Il regista McCarthy: «Racconto la verità sulla scia del Papa» Bambini perduti tra guerra e abusi, il fallimento dell’uomo
Di Marco Contino
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di Marco Contino

Nei giorni in cui la foto del corpo di un bambino riverso sulla spiaggia fa il giro del mondo e sconvolge le coscienze, la Mostra del Cinema affronta il tema dell’infanzia violata, calpestata dalla guerra o oltraggiata da quelle stesse istituzioni che dovrebbero proteggerla e preservarla. Mentre il Concorso ferma il suo sguardo sul dramma di Agu, il bambino protagonista di “Beasts of no nation” di Cary Fukunaga, privato della sua innocenza da un conflitto senza fine che intossica i pensieri e corrompe le carni, fuori dalla competizione ufficiale la violenza esplode nella più odiosa e indicibile delle parole: pedofilia. Argomento respingente per definizione, anche al cinema, perché la tragedia di un bambino violato diventa la tragedia di tutti: di chi doveva denunciare e non lo ha fatto, di chi doveva vigilare e ha chiuso gli occhi, di chi doveva indagare a fondo e si fermato alla superficie. Era l’Epifania del 2002, in un soffio di ironia blasfema, quando giunsero alle cronache americane le prime rivelazioni sullo scandalo degli abusi sessuali sui bambini perpetrate dai sacerdoti cattolici dell’arcidiocesi di Boston.

“Spotlight” di Thomas McCarthy si ispira a quella vicenda raccontando la lunga e tortuosa inchiesta che portò quattro giornalisti del Boston Globe - che formavano lo “Spotlight team”, sorta di nucleo investigativo all’interno del giornale - a rivelare un fenomeno di proporzioni inimmaginabili che coinvolgeva non solo i preti aguzzini (più di duecento su 1.500), ma le più alte gerarchie ecclesiastiche che non fecero nulla per impedire le violenze, limitandosi a spostare i prelati da una parrocchia all’altra e costruendo una fittissima rete di connivenze e di omertà. Una Chiesa che smette di pregare per predare l’innocenza.

In conferenza stampa, il regista McCarthy usa le stesse parole di uno dei sui protagonisti per spiegare l’abominio commesso da quei preti: un «abuso fisico ma anche spirituale», perché la maggior parte delle vittime proveniva da famiglie povere e problematiche che sono state tradite nella fede, perdendo l’ultimo appiglio cui potersi aggrappare. Nel solco di una tradizione cinematografica che ha il suo apice e il suo modello di riferimento in “Tutti gli uomini del presidente”, “Spotlight” (che uscirà negli Stati Uniti a novembre, mentre in Italia è atteso nei primi mesi del 2016) è un film di inchiesta asciutto e incalzante che parte dai dati oggettivi e incontestabili raccolti dai giornalisti del Globe per riflettere sulla necessità di un cambiamento radicale della Chiesa e sull’importanza della libertà di stampa. «Il nuovo Papa è straordinario nell’aver portato la chiesa in una nuova posizione. Tutti devono contribuire a fermare questi episodi e se qualcuno lo farà, sarà Bergoglio» dicono Mark Ruffalo (il redattore Michael Rezendes) e Stanley Tucci (avvocato delle vittime). I due celebrano la figura del giornalista che riesce ancora a sporcarsi le mani senza che la sua indipendenza venga minacciata dall’esterno. «L’obiettivo di “Spotlight” - ribadisce McCarthy - non è distruggere la Chiesa, ma raccontare la verità sull’onda del nuovo corso impresso dal Papa», sul quale il regista ripone una grande fiducia per le sorti della Chiesa. Che oggi, tuttavia, non sembra ancora capace di punire i colpevoli, se è vero - come recitano le didascalie finali - che il vescovo di Boston, Bernard Law, che ha coperto per vent’anni gli abusi dei sacerdoti, è ancora oggi arciprete emerito della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.

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