Certificato penale, si salvano i volontari

Sorprese e confuse le società sportive che lavorano con i giovani, ma la norma si applica solo per chi ha un contratto
Di Simone Bianchi

Solo ieri sera è stato possibile tirare un sospiro di sollievo, anche se restano molti i nodi da sciogliere. Perché, con una nota, il ministero della Giustizia ha spiegato che l’obbligo di certificato giudiziale per chi lavora con i minorenni che escluda reati di pedofilia riguarda solo chi ha un contratto di lavoro. Tradotto: no serve per i genitori che aiutano le società sportive, serve per gli allenatori inquadrati con un contratto di lavoro.

Ieri per tutta la giornata il mondo che ruota attorno alle molte società sportive della provincia era confuso e arrabbiato per la nuova normativa che impone il possesso del certificato penale per chiunque - questa l’interpretazione valida fino a ieri sera - venga a contatto con i minori che fanno attività giovanile nei vari campionati. Il tutto entro domenica 6 aprile, termine ultimo per ora, per mettersi in regola. Con il rischio di multe da 10 a 15 mila euro al colpo. Molti dirigenti lo hanno scoperto aprendo il giornale al mattino. Ora, stando al testo diffuso ieri sera dal ministero, solo chi ha un contratto dovrò fare richiesta al casellario del certificato. «Non ne sapevamo proprio nulla», rifletteva ieri mattina Fabio Milliaccio, dirigente della Diadora, storico sodalizio del canottaggio veneziano. «Non so come potremo riuscire a metterci in regola per domenica, ma per una società come la nostra la situazione è incredibile. Abbiamo soci anziani e anche genitori che si prestano per dare una mano ai ragazzi al circolo, così come per accompagnarli alle gare. Significa che tutti dovranno mettersi in regola. Non ne capisco il senso», riflessioni fatte prima del lieto fine. L’applicazione della norma sarebbe stato un grave problema soprattutto per le società sportive no profit e a base volontaria, che non hanno sponsorizzazioni oppure introiti derivati dagli incassi degli eventi sportivi. La norma è stata imposta dall’Unione Europea ancora nel 2011, ma l’Italia l’ha recepita, come al solito, in ritardo, il 4 marzo scorso. Molte società lo hanno scoperto ieri, con soli due giorni per mettersi al passo. A Roma il presidente del Coni Giovanni Malagò ha lavorato tutto il giorno per cercare di ottenere almeno una proroga dal Governo Renzi. A rischio, si diceva, ci sarebbero state 100 mila società sportive italiane.

«Noi siamo sempre stati molto attenti a ciò che può riguardare gli atleti minorenni», spiegano dalla Reyer Venezia, «e lo dimostra il certificato etico che seguiamo. Di questa normativa in particolare non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione formale, quindi preferiamo aspettare passi ufficiali prima di commentare quello che sta accadendo». Per le grandi società professionistiche il costo dei certificati penali di sicuro inciderà marginalmente sui bilanci, ma per le più piccole sarà ben diverso. Chi di giurisprudenza se ne intende è l’avvocato Roberto Pea, presidente del Tennis Club Mestre che ogni anno vede centinaia di giovanissimi mestrini giocare sui campi di via Olimpia: «Non sappiamo in quali termini dovrà essere applicata questa norma e non abbiamo ricevuto alcuna circolare», spiega. «Bisogna capire come interpretarla e per chi è effettivamente valida. Una cosa sono i maestri o gli allenatori a diretto contatto con gli atleti, una cosa i genitori che accompagnano saltuariamente le squadre. Chi deve poi sostenere i costi di queste operazioni? Infine, con il certificato penale si sanno solo eventuali condanne in giudicato, ma non i carichi pendenti». (f.fur. - s.b.)

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