Centro di preghiera a rischio chiusura Gli islamici spiazzati
È stata messa nero su bianco, dal comandante della polizia municipale di Venezia, Marco Agostini, l’illegittimità sotto il profilo urbanistico del Centro culturale islamico bengalese di via Fogazzaro, dove da almeno sei anni, pregano i fedeli. Il problema, come si era detto, sta nel cambio di destinazione d’uso, da direzionale ad attrezzature collettive. La segnalazione di reato è arrivata in Procura, Prefettura e alla Direzione sportello unico attività produttive. I bengalesi della comunità che prega in via Fogazzaro sono confusi e non capiscono perché, in tutti questi anni in cui si recano nel centro, nessuno abbia detto loro che commettevano un abuso. «Non siamo riusciti a capire», spiega Kamrul Syed, presidente della Venice Bangla School & Cultural Association. «Non ci sono ancora pervenute le carte ufficiali di quanto ci viene contestato e se ci viene richiesta della documentazione ora, potremmo non sapere dove si trova. Com’è possibile che dopo anni adesso ci venga chiesto conto della trafila burocratica di allora? Sono cambiati presidenti, segretari dell’associazione: finché non abbiamo le carte in mano come possiamo rispondere? Noi avevamo seguito l’iter allora, ingaggiato un professionista, perché adesso? Tutti sapevano che c’era un centro: hanno chiuso gli occhi per 5 anni o prima andava bene e ora non più? Gli abitanti negli anni ci hanno accettato, hanno capito che siamo brava gente, ma dopo l'attentato di Dacca le cose sono cambiate: siamo visti con sospetto e veniamo presi di mira. Stiamo cercando un altro sito, fuori dal centro, in periferia o in un altro comune, a Favaro piuttosto che a Spinea, ma non riusciamo a trovarlo. Certo, dobbiamo capire qual è il problema là dove siamo, di mezzo ci sono anche la legge regionale e un altro fatto: in via Fogazzaro, via Cappuccina, via Rampa Cavalcavia gira brutta gente, lo sappiamo. C'è spaccio, si azzuffano, ma noi con tutto ciò non c’entriamo e non è che se ce ne andiamo la zona migliorerà, perché non siamo noi il problema, solo che ci andiamo di mezzo. Dobbiamo pagare per tutti? Ci sembra di essere un capro espiatorio: la gente ha paura, è stanca, ma la colpa non è nostra, non lo è della situazione che si è venuta a creare in quartiere, né per l'attentato di Dacca o per gli altri attentati».
Nel frattempo Luigi Corò, presidente del comitato Marco Polo, che sul Centro di via Fogazzaro aveva fatto un esposto in cui denunciava l’inagibilità dei locali, è tornato ieri sul piede di guerra. Corò ha scritto alla direzione Sportello unico edilizia e alla dirigente degli Affari giuridici e controllo territorio chiedendo la chiusura della “moschea”, il ripristino della legalità e dello stato di diritto. «Chiediamo si proceda speditamente alla chiusura della moschea per dare un preciso segnale che lo Stato e le sue istituzioni ci sono e soprattutto pretendono il rispetto della legge, specialmente quando si calpestando i diritti di altri cittadini».
Marta Artico
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