Centri commerciali aperti e vuoti. Le commesse: concorrenza assurda
VENEZIA. Prima in piazza a cantare l’Inno d’Italia e poi al centro commerciale, magari per acquistare un boccolo a prezzo scontato da portare alla moglie. Nonostante il sole, in tanti ieri hanno fatto una capatina nei templi dello shopping che hanno spalancato le porte come se fosse un mercoledì qualsiasi e non la festa della Liberazione e che faranno la stessa cosa il Primo Maggio.
Non esiste più la distinzione tra chi va al centro e chi si mette in coda per la spiaggia, perché ci si può tranquillamente recare alla parafarmacia dell’outlet e poi partire per la gita fuori porta, oppure andare al parco e all’ora di pranzo mangiare sushi nella galleria food court dell’outlet.
Tutti aperti. Ieri i marchi cittadini hanno atteso i clienti, non solo i giganti come il centro commerciale Auchan di Zelarino, il Valecenter di Marcon, la Nave De Vero di Marghera e il Panorama, ma anche le medie strutture che gravitano attorno alle aree commerciali. Aperto Obi (un cartello all’entrata chiarisce che lo sarà anche il 1 maggio), che vende il tutto per il giardinaggio, e vista la bella stagione, perché non andare a prendere i rampicanti per la terrazza o le siepi finte da giardino.
Aperto Conforama, la Meson du Monde, Pittarello, Mediaworld, Decathlon, ma anche Interspar e persino la palestra Mcfit. Non c’era la ressa ad affollare i templi dello shopping, ma oramai è difficile trovare giornate in cui davvero ci siano migliaia di persone nei negozi. In centro città è rimasto aperto Le Barche, che la domenica richiama molti stranieri che si fermano a chiacchierare nell’atrio e molti anziani che vanno a mangiare all’ultimo piano, nel Bistro Feltrinelli, un modo per passare la giornata.
Commesse. Meno felici le forzate del lavoro festivo che si sfogano sui social. Qualcuna è più tutelata, altre meno. «Mi domando» spiega una lavoratrice «ma quante mutande e calzini si devono vendere per coprire i costi di una apertura domenicale?». «Starei più volentieri con il mio fidanzato» spiega Lisa, che non vuole si dica dove lavora, «ma qualche festività ho scelto di lavorare perché anche se mi danno davvero poco, in questo periodo anche quel poco mi fa comodo, Primo maggio, 25 aprile o Santo Stefano che sia».
«Siamo sempre più poveri e quindi ci adeguiamo» dice un’altra. «Lavorare sette su sette» racconta Silvia «peggiora il servizio». «Dei lavoratori» chiarisce Nicoletta Cipolato, commessa e delegata Filcams, «oramai non interessa più a nessuno. Semmai è un altro il discorso su cui focalizzarsi. È che siamo tutti in sconto, perennemente. Ogni settimana c’è una promozione, nei centri commerciali nessuno vende più a prezzo pieno. Questo cosa significa? Che siamo a un punto in cui ci si cannibalizza e il fatto di aprire troppi giorni fa andare male tutti. Se ci sedessimo a un tavolo con gli imprenditori, come il titolare della Sme che vede molto più in là degli altri, e si facessero due conti, forse si salverebbe il salvabile. Aprire sempre significa dover pagare i dipendenti, avere costi che alla fine ricadono sui lavoratori che non vengono più retribuiti come una volta, e sulle merci, perennemente in saldo. Bisogna fare i conti con la gente che va a passeggio ma non acquista più e con l’e-commerce. Per questo bisognerebbe chiudere alcune domeniche e aprire in quelle giuste, in cui davvero il gioco vale la candela».
Primo maggio. Quest’anno 25 aprile e Primo Maggio vanno a braccetto, neanche la Festa dei lavoratori, terreno minato, fa breccia nel cuore delle catene. I centri commerciali rimarranno aperti, chi chiuderà è solo qualche marchio di ipermercati, come la Coop della Nave De Vero, quella del Terraglio, l’iper di Auchan.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia