Cento chilometri a piedi per il parco del Muson
MIRANO. In cammino lungo il Muson Vecchio, per sensibilizzare istituzioni e privati a riprendere in mano il sogno del parco fluviale, del contratto di fiume, di una nuova economia per i territori attraversati dall’antico corso d’acqua. Altrove, un fiume è diventato risorsa quando associazioni, gruppi e comitati hanno cominciato a viverlo, riappropriandosene e rimettendolo al centro della comunità, com’era in origine, quando lungo le rive si svilupparono le prime forme di civiltà, poi l’agricoltura e l’artigianato. Ci provano a Mirano: l’obiettivo è la riscoperta del paesaggio, dei percorsi di terra lungo l’acqua, nelle campagne e con un risvolto anche turistico, non di massa ovviamente, ma “green”.
Echidna, con il laboratorio Bel-Vedere, l’associazione Punto d’incontro e altre che in questi anni si sono occupate di Muson (Fai, Italia Nostra, Legambiente, Cai, Wwf), fino a Università e consorzio di bonifica, l’ha chiamato «laboratorio di geografia esperienziale»: l’obiettivo è riportare lungo gli argini una spedizione di pionieri della riscoperta del Muson e da lì riaprire il dibattito sul suo recupero in ottica non solo idraulica, ma naturalistica e umana.
Tre giorni, quasi cento chilometri da percorrere a piedi, attraversando luoghi, incontrando persone, ammirando paesaggi: 5, 6 e 7 maggio, si partirà da Mirano, risalendo il fiume per Camposampiero, poi l’arrivo sarà a Castelcucco e Monfumo, dove il Muson nasce torrente da acque limpide di risorgiva. Vitto e alloggio lungo il percorso e che percorso: il bacino delle Barche a Mirano, Salzano e il Salese, il sentiero dei sette mulini, le risorgive di Loreggiola nel Padovano. Poi il sentiero degli Ezzelini, l’unico tratto già attrezzato, Castelfranco, le colline asolane fino a Col Muson. Prima, quattro incontri preparatori: 17, 24 e 31 marzo, in corte Errera, con esperti di Ca’ Foscari e Università di Padova, come Francesco Vallerani, Francesco Visentin, Maria Stella Busana e l’architetto paesaggista Domenico Luciani. «Va riscoperto il concetto di campagna», afferma Alberto Gregio, di Bel-Vedere, «per vedere cos’è il Veneto bisogna scendere dall’auto: seguire il corso dei fiumi è un modo per riportare l’essenza dei nostri luoghi all’attenzione pubblica».
«Fare come per il Marzenego», esorta il presidente del consorzio Acque risorgive, Francesco Cazzaro, «dove la mobilitazione della gente ha portato a firmare un contratto di fiume che è antidoto all’incuria. Senza aspettare di mettere tutti d’accordo: quando si vedrà nascere nuova economia, tanti si metteranno in coda».
Filippo De Gaspari
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