Cellula jihadista a Venezia. La Cassazione: "Pericolosi"
VENEZIA. I tre kosovari arrestati lo scorso marzo a Venezia con l'accusa di essere una cellula jihadista che, tra l'altro, ipotizzava di fare un attentato al ponte di Rialto - obiettivo che gli avrebbe fatto guadagnare subito «il paradiso», punizione per l'impegno dell'Italia nell'Onu - rimarranno in carcere perchè, oltre alle prove raccolte, «si dimostrano ben consapevoli della illiceità del loro comportamento».
Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi e relative all'udienza che il 13 luglio ha respinto il reclamo di Fisnik Bekaj (1992), Dake Haziray (1991) e Arjan Babaj (1989, già arrestato dai servizi segreti del Kosovo - camerieri in due caffè a San Marco - contro il no alla scarcerazione deciso dal tribunale del riesame ad aprile. Ad avviso dei supremi giudici, dalle intercettazioni, dall'esame dei profili social, e dai pedinamenti, «appare evidente la sussistenza dei caratteri della finalità terroristica e del fine 'jihadistà: sono ben consci di proporre e perseguire l'imposizione violenta della dottrina islamica integralista attraverso la guerra santa contro il nemico infedele».
«Estrema importanza», osservano gli 'ermellinì, riveste anche «l'addestramento fisico», «palesemente proiettato verso l'allenamento terroristico e non connotato da mere finalità sportive»: le intercettazioni provano «chiaramente» che era «finalizzato alla "guerra santa"». Inoltre, afferma la sentenza 50189, «la costante visualizzazione e condivisione di video con istruzioni per la costruzione di esplosivi "home made" costituisce senza dubbio un elemento di per sé gravemente indiziario».
Le conversazioni - c'è anche un quarto arrestato, un minorenne kosovaro - hanno ad oggetto «l'attività concreta di addestramento, proselitismo, progettazione di partenze come foreing fighters per la Siria e condivisione di video» per fare bombe.
Per la Cassazione non ha importanza che sia una cellula embrionale, priva di armi, e con obiettivi non troppo definiti, perchè «le ultime micidiali azioni compiute da gruppi di consistente o minimale composizione numerica in alcuni Paesi europei mostrano il segno di una sostanziale imprevedibilità delle aggressioni criminali quanto agli obiettivi presi di mira ed all'utilizzo di armi ed esplosivi».
«Utilizzo che a volte è stato determinante per la finalità stragista, in altri casi - rileva il verdetto - è stato del tutto ignorato, con stragi compiute, a dispetto di ogni prevedibile potenzialità offensiva dei mezzi utilizzati, attraverso l'uso di veicoli lanciati a tutta velocità contro la folla».
È avviso della Suprema Corte che le cellule jihadiste - come quella che viveva nella «base di appoggio» a San Marco 1776, dove si incontravano e pregavano anche altri islamici - non siano strutture ingessate ma caratterizzate da «modalità di adesione "aperte" e spontaneistiche», che «propongono l'inclusione 'in progress' di individui o 'cellulè che condividono l'obiettivo terroristico».
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