Cattive e senza paura. La violenza sul web è femmina
MESTRE. La cattiveria è una costante. Come quella delle compagne di classe nei confronti di una ragazza non vedente, in provincia di Livorno. Le hanno scattato fotografie, condivise poi sui social. In provincia di Reggio Calabria un’altra ragazzina di 12 anni non voleva più andare a scuola: su Ask insultavano la mamma e lei non riusciva a sopportarlo. Storie. Storie di vittime del bullismo, di quella forma che viene descritta «fenomeno emergente» e in crescita: il bullismo al femminile.
Piccole donne che se la prendono con altre piccole donne. Storie che arrivano negli uffici della polizia, e sono solo una parte del non detto. Alle medie le prime violenze. Hanno 14 anni. A volte anche meno. Gli episodi iniziano a scuola, vengono filmati, condivisi. «In provincia di Massa ricordo il caso di due ragazze che si sono azzuffate, 14 e 16 anni e la grande incitava gli altri a filmare la scena – spiega Stefania Pierazzi, responsabile del settore operativo della polizia postale per la Toscana – Poi quel video è girato su WhatsApp». Ma c’è un altro caso che ha scosso ancora di più. «Un fatto più grave ai danni di una ragazzina non vedente – spiega la dirigente – Le compagne di classe le hanno scattato delle foto, lei nel sedersi aveva mostrato inavvertitamente le gambe. Il tutto è finito su Facebook». Terza media, 14 anni. «Colpiscono per l’assoluta mancanza di sensibilità», spiega l’agente. Sapendo che poi c’è il sommerso, quello che non viene denunciato. Sono spesso i genitori che si fanno avanti. Era successo in provincia di Siena. Una mamma aveva parlato agli agenti di una scritta sul muro di casa riferita a sua figlia «è brava a...».
Poi ci sono i furti di profilo sui social.Le ragazze si scambiano le password, chi le riceve si sente autorizzato a sostituirsi nel diario di Facebook che diventa la versione pubblica, aperta, della vecchia “Smemo”. Finiti i segreti. Capita altro tra i 14enni. Le ragazze mandano una loro foto a un amico, e quello scatto che le ritrae senza vestiti viene condiviso, gira. «E il web non dimentica, cancellare è difficile – spiega l’agente toscana – C’è un video di dieci anni fa realizzato in provincia di Perugia. Ancora oggi ci capita di trovarlo nei pc che sequestriamo». Un rapporto intimo con il fidanzatino di allora con il video che lui ha pubblicato on-line. Senza pensare alle conseguenze di quel gesto di cui lei è ancora una vittima. Denunciare fa paura. La responsabile del servizio della polizia postale in Calabria, Giovanna Maria Rizzo, parte dalle caratteristiche della terra in cui lavora.
«C’è meno la cultura del mettere on-line – spiega – le cose si condividono all’interno del gruppo». Ricorda una ragazzina di 12 anni che si è rivolta alla polizia insieme alla mamma. Attraverso il profilo Ask di un’amica subiva gli insulti contro di lei e contro sua madre. «Non voleva più andare a scuola – spiega l’agente – C’è stato un altro caso di una ragazza di Reggio Calabria che chattava su Facebook con un’altra. Le ha rivelato il sogno di fare la modella e questa ha iniziato a chiederle fotografie sempre più spinte». Poi le minacce di condividerle. Si è scoperto che era un’adulta. «Non riescono a capire le conseguenze dei loro gesti – spiega l’agente – A scuola cerchiamo di far passare un messaggio di legalità, devono capire il valore della sessualità». Il bullismo passa attraverso chi giudica gli episodi poco gravi, attraverso chi non li vede. Il sexting senza controllo. Autoscatti, soprattutto. «Noi abbiamo avuto tre casi gravi – spiega Marcello La Bella, dirigente per la Sicilia orientale della polizia postale – tutti partiti da sexting».
Su richiesta o per mostrarsi agli amici una ragazzina si è fatta degli autoscatti ammiccanti. «È stata presa di mira dalle altre ragazze, forse per gelosia. Dalle offese sono passate alle minacce tanto che i genitori hanno temuto per la sua incolumità». Non si rendono conto che quello che ricevono e salvano sul cellulare è materiale pedopornografico. Né chi scatta né chi riceve. Vittima e carnefice si perdono. A Sestri Ponente dopo la rissa tra ragazzine distinguere vittime e carnefici è diventato complesso. La più grande che aveva picchiato la dodicenne è diventata a sua volta vittima. «Capita spesso che il carnefice diventi a sua volta vittima – spiega Paola Capozzi, responsabile della polizia postale per Piemonte, Valle d’Aosta e reggente per la Liguria – restituiscono con la stessa moneta». Del bullismo femminile parla come di un «fenomeno emergente».
«Si vanno equiparando – spiega l’agente – forme di prevaricazione che prima erano appannaggio del mondo maschile e che adesso lo diventano, nella devianza, anche in quello femminile». Ed è sempre maschi contro maschi, femmine contro femmine. Casi che diventano fascicoli, che aprono inchieste. Ma i ragazzi iniziano a trovare il coraggio di parlare. A Cagliari hanno chiesto di avere uno sportello e la questura lo ha aperto per ascoltarli. I profili falsi su Facebook. «Una ragazza ha creato un falso profilo su Facebook – spiega Anna Maria Mazziotto dirigente della polizia postale di Cagliari per la Sardegna – Si fingeva un uomo, denigrava le sue compagne di classe, con apprezzamenti pesanti»: 15 anni, si è arrivati a lei con una denuncia. Si mette in moto il tribunale per i minori. Si tenta la via del recupero. E la sensibilizzazione. Parlare ai ragazzi di chi si è tolto la vita perché vittima di bullismo li zittisce. La paura, forse la consapevolezza.
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