Caterina, la “pastora” di anime valdesi

“Pastore” nelle circostanze ufficiali. Semplicemente “Caterina” per i fedeli. Così viene appellata Caterina Griffante, la pastora che dirige da oltre un anno la piccola comunità della Chiesa Evangelica Valdese e Metodista a Venezia. Duecento anime, suddivise tra la città lagunare, Mestre, Treviso e Conegliano, dove il suo lavoro di ministro della chiesa la porta durante la settimana, per seguire la catechesi dei bambini e l’assistenza religiosa ai credenti che lo richiedono, anche alla comunità ghanese metodista.
«È un lavoro faticoso in quanto tutto quello che faccio va moltiplicato per quattro. Ma non mi pesa perché per me, prima di tutto, è una scelta religiosa».
Una decisione, quella di diventare pastora, che non arriva subito nella vita. Nata a Schio, nel cattolicissimo Veneto della metà del secolo scorso, Caterina incontra la Chiesa valdese grazie a una compagna di studi che la invita a palazzo Cavagnis a Venezia, proprio il luogo dove ora dirige la comunità, per assistere alla sua convalidazione a questa fede. «Ne restai colpita», racconta. «Fu come se qualcuno bussasse piano alla mia porta. La religione cattolica mi stava stretta. Cominciai a riflettere».
Ma prima arriva una laurea in filologia medievale umanistica e un lavoro di bibliotecaria. «È la mia vita precedente, fatta di studi e ricerca storica che mi ha portato, alla soglia dei quarant’anni, a spalancare quella porta che anni prima non avevo voluto aprire».
La vocazione la porta a frequentare la facoltà di teologia valdese a Roma e a sostenere un percorso di dieci anni per diventare pastore. A Venezia succede a una collega, sposata e con un bimbo. «Figli non ne ho», dice con una punta di rammarico. «È ancora difficile per una donna conciliare questa attività con la famiglia, soprattutto perché ogni 7 o 8 anni, cambiamo sede. La moglie e le figlie di un pastore solitamente si occupano della contabilità parrocchiale, lo aiutano nello svolgimento dei suoi compiti. È difficile che un marito - la Chiesa valdese ammette anche un compagno, in quanto il matrimonio non è un sacramento - accetti di seguire gli spostamenti di lavoro della sposa “pastora”».
Un particolare questo che indica come ci sia ancora tanto da lavorare nella nostra società per accettare una parità di ruoli che esiste in apparenza ma stenta ad affermarsi nella realtà.
Lieta Zanatta
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