«Casinò e ristorante per ripulire i soldi»

Ecco come la banda di Violi voleva reinvestire i proventi del traffico di droga. «Valigette di contanti anche dalla Calabria»

Reinvestire i soldi, provenienti anche dallo spaccio di sostanze stupefacenti, in attività economiche lecite. Era questo l’obiettivo di Attilio Violi in Veneto. Emerge chiaramente dall’ordinanza di custodia cautelare e dal fermo che tre giorni fa hanno portato all’arresto di 14 persone (più altre 3 misure restrittive) per traffico internazionale di droga. Violi voleva ripulire i soldi investendo in un ristorante o una rosticceria a Venezia ma nei suoi piani, in passato, ci sarebbe stato anche il Casinò di Venezia, da usare come lavatrice.

Per capire perché Violi detto anche “Furia” - il capo della banda che, dopo essere stato arrestato nel 215 continuava a dare ordini dal carcere con i suoi pizzini - si fosse trasferito in Veneto già da molti anni, bisogna fare un passo indietro e tornare al suo paese d’origine, Ferruzzano (Reggio Calabria). Il 15 aprile del 2010 Violi era stato raggiunto da nove colpi di pistola esplosi da Maurizio Maviglia che, condannato con rito abbreviato per tentato omicidio, si era poi pentito e aveva cominciato a parlare. Maviglia (prima aderente alla cosca Mollica e poi a quella della famiglia di Peppe Morabito detto U Tiradritto) e Violi erano amici fin da ragazzi e si conoscevano molto bene, anche se poi i rapporti tra i due si erano interrotti. Violi si era rifugiato in Veneto - secondo la ricostruzione di Maviglia - perché entrato in contrasto con alcuni esponenti della cosca locale perché voleva prendersi tutti gli appalti del Comune di Ferruzzano. Violi - sempre nella ricostruzione di Maviglia - sarebbe stato vicino alla cosca dei Morabito Illerì, alla quale apparteneva anche Santo Morabito, entrambi con i gradi di “santisti”. «Il Violi», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, «aveva acquistato un bar -ristorante in Veneto assieme a Santo Morabito con i proventi del traffico di droga. L’attività svolta da Violi in Veneto era rivolta al reimpiego di denaro, proveniente anche dallo spaccio di sostanze stupefacenti, in attività economiche». In un altro passaggio chiave si legge che «le direttive sulle attività da svolgere provenivano tutte da Saverio Mollica che gestiva il distaccamento locale di ’ndrangheta di Africo e poiché Mollica era attualmente detenuto, aveva preso il suo posto di capo-società il fratello Domenico». Maviglia racconta anche che, in almeno una occasione, aveva assistito alla consegna di due valigette 24 ore contenenti almeno 300-400 mila euro destinati a Violi da investire al Nord. «La locale di ’ndrangheta facente capo ai Mollica era interessata a reinvestire denaro presso il Casinò di Venezia dove vi erano delle persone, forse dipendenti di detto Casinò, che ricevevano denaro contante sul quale poi vi erano numerosi interessi economici lucrati dagli investitori», recita l’ordinanza facendo riferimento alle dichiarazioni di Maviglia. E’ anche sulla base di queste dichiarazioni che il Gico della Finanza cominciò a indagare, riuscendo a infiltrare l’associazione con un finanziere infiltrato sotto copertura. La volontà di investire i soldi sporchi emerge inoltre dal dispositivo di fermo firmato dal pm Paola Tonini. Violi è in carcere da 2015 - quando si concluse la prima parte dell’operazione - ma è sempre lui, attraverso il cognato Giovanni Pietro Sculli e il cugino Rocco Scordo a imporre le direttive. E Violi, il febbraio del 2017, sollecita in un colloquio in carcere il cognato Sculli a cercare in centro storico una pizzeria o una rosticceria. Sculli e Violi ne parlano anche in un incontro avuto in giugno, in cui si preoccupano anche di trovare il personale.

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