Cartella “pazza” da oltre 10 mila euro a una ditta
MARTELLAGO. Storia di ordinaria burocrazia, verrebbe da dire, perché sarebbe bastato guardare il terminale per controllare che fosse tutto in regola e non c’erano somme da pagare.
Invece, in un mese, il tributarista noalese Alberto De Franceschi, per conto di una società di Maerne, ora chiusa, ha dovuto fare la spola quattro volte con l’Agenzia di Riscossione per dimostrare che quegli oltre 10 mila euro non si dovevano saldare. Solo ieri mattina è riuscito a chiudere definitivamente la vicenda.
Stiamo parlando di un’azienda di impianti e condizionatori condotta sino al 2014 da quattro soci, due padri e due figli. I genitori vanno in pensione e vendono tutto, perché i ragazzi preferiscono prendere altre strade e rendersi indipendenti. La stessa ditta aveva una decina di lavoratori: vengono ricollocati. Fin qui tutto bene.
Il 18 settembre scorso, alla società arriva una vecchia cartella di Equitalia e la richiesta di pagare ben 10.141,59 euro entro 60 giorni. Ovviamente lo sguardo degli interessati si sbianca, ci si chiede i motivi della somma da pagare e salta fuori che si fa riferimento a un’Imposta sul reddito delle società (Ires) del 2013: “omesso o carente versamento” è scritto sul foglio.
«Andiamo all’Agenzia di Riscossione», spiega De Franceschi, «e scopriamo che il suo sistema commette errori e sbaglia i calcoli. Presentiamo un’autotutela, tenendo presente che, dal 18 settembre, si hanno 30 giorni per dimostrare la propria posizione - in questo caso d’innocenza - altrimenti bisogna pagare quanto contestato». Inoltre, i malcapitati devono presentare il modello di sgravio, che dà modo al contribuente di vedersi cancellata del tutto o parzialmente la cifra richiesta per errore.
Il secondo giro allo sportello è del 4 ottobre. «Un funzionario», prosegue De Franceschi «ci dice che la società non ha versato acconti nel 2012, dunque un anno diverso da quello contestato prima. Non riesco ad avere spiegazioni da chi di competenza e dopo tre giorni ricevo una lettera in cui vengono informato della mancata concessione dello sgravio. Motivo? Acconti non pagati».
Altro viaggio il 9 ottobre e gli interessati ricevono l’avviso bonario, in cui l’Agenzia di Riscossione evidenzia le eventuali imposte e contributi insoluti. «Documento che, all’inizio», spiega De Francesch,i «era stato spedito alla vecchia sede della società. Ancora una volta risulta la somma di più di 10 mila euro da pagare».
Ma qualcosa non convince i soci e il tributarista. «Dalle nostre carte», continua il professionista, «emerge che l’azienda avesse avuto dei problemi di liquidità ma, alla chiusura, si mise in regola con imposte, multe e interessi. Ieri ci è stato risposto che la società non deve neanche un euro».
De Franceschi si lamenta della burocrazia: l’informatica dovrebbe snellirla, invece finisce per aggravarla ancora di più. «Non possiamo impazzire con i flussi telematici. Adesso che arriverà la fattura elettronica cosa faremo? La storia fa riflettere». —
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