Cardiologo rinviato a giudizio: è accusato di truffa e peculato
SAN DONÀ. Il cardiologo Andrea Morrone, in servizio all’ospedale di San Donà e residente a Treviso, è stato rinviato a giudizio, ieri, dal giudice veneziano dell’udienza preliminare Roberta Marchiori sulla base della richiesta avanzata dal pubblico ministero Laura Cameli. Il 4 febbraio del prossimo anno, giorno in cui è stata fissata l’udienza, il medico dovrà difendersi davanti ai giudici del Tribunale: è accusato di un reato molto grave, peculato, inoltre di truffa aggravata ai danni dell’Asl 10, l’azienda sanitaria di cui è dipendente. Come numerosi professionisti della sanità, il cardiologo sandonatese aveva scelto di svolgere, oltre alla attività ospedaliera, anche quella privata.
Stando alle accuse, però avrebbe utilizzato i macchinari del nosocomio in cui prestava servizio a favore dei suoi pazienti, in particolare avrebbe eseguito numerose ecografie al cuore senza versare nelle casse dell’amministrazione sanitaria il corrispettivo per l’esame eseguito. Stando ad un conteggio compiuto negli uffici dell’Asl 10, sarebbero stati poco più di diecimila euro i soldi che tra il 2007 e il 2012 - gli anni presi in considerazione da questa indagine - Morrone avrebbe dovuto versare per le ecografie eseguite privatamente. La truffa aggravata, quindi, è stata contestata proprio per il denaro che l’Asl 10 non ha incassato, mentre avrebbe dovuto finite nelle casse visto che la strumentazione che il cardiologo utilizzava era quella della struttura pubblica ospedaliera. È probabile che l’amministrazione sanitaria che gestisce l’ospedale sandonatese si costituisca parte civile nei confronti del suo dipendente durante la prima udienza del processo, a meno che l’imputato non decida comunque, indipendentemente dalla sentenza finale, di risarcire l’Unità sanitaria locale del Veneto Orientale.
Il difensore di Morrone si batterà naturalmente per la sua assoluzione: già ieri, davanti al giudice dell’udienza preliminare, ha chiesto il proscioglimento del suo cliente. Oltre dall’accusa di truffa, il medico dovrà difendersi da quella più grave, peculato. Per il codice penale «il pubblico ufficiale che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa».
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