“Canna da pesca” spaziale ideata da un veneziano
MESTRE. Un mulinello piccolo e leggero, proprio come quello delle canne da pesca, per riavvolgere fili nello spazio, andando a caccia di detriti o rifornendo sonde ormai a fine vita.
Studenti-inventori. L'idea, premiata dall'Agenzia Spaziale Europea, arriva da cinque studenti dell'Università di Padova: i vicentini Gilberto Grassi e Alessia Gloder, il trevigiano Mattia Pezzato (studenti di Ingegneria Aerospaziale), il veneziano Alvise Rossi (Ingegneria dell'Automazione) e infine il padovano Leonardo Pellegrina (Ingegneria Informatica).
"Star". Il gruppo, supervisionato dal professor Alessandro Francesconi, ha presentato il progetto al concorso “Drop your thesis”, aggiudicandosi il primo posto e quindi un finanziamento e la possibilità di testarlo nella torre di caduta di Brema. Lo hanno chiamato “Star”, una sigla quanto mai adatta (significa stella) che in questo caso sta per Space tether automatic retrieval cioè, alla lettera, “recupero automatico di fili spaziali”. Perché riavvolgere un filo, cosa banale nel quotidiano, non è altrettanto semplice nello spazio, dove il fallimento di questa operazione ha mandato all'aria più di qualche missione.
La novità. In passato sono stati messi in campo diversi tentativi per “svolgere” il filo (uno tra tutti: le due missioni Tss, il “Satellite al guinzaglio” derivate da un’intuizione del matematico padovano Giuseppe Colombo), mentre l'operazione di recupero non è mai stata tentata per veicoli al di sotto dei 100 chilogrammi. La proposta che arriva da Padova è di utilizzare un meccanismo diverso, innovativo ma al contempo semplicissimo: un mulinello, come quelli delle canne da pesca, piccolo e leggero, in grado di svolgere e riavvolgere il filo.
Le applicazioni. E se ai profani del settore può sembrare un'intuizione priva di utilità, vale la pena ricordare che le applicazioni sono molteplici e permetterebbero una serie di manovre finora precluse: si va dalla rimozione di detriti spaziali con un sistema di cattura e recupero a filo, al servizio in orbita, ovvero il rifornimento di sonde e satelliti alla fine della loro vita operativa, posticipandone così il rientro a Terra e permettendo di operare ancora per molto tempo. Il costo complessivo per il prototipo è di circa 25 mila euro, finanziati in parte dall'ateneo, in parte dall'Esa e in parte da sponsor (la ricerca è ancora aperta).
Test a Brema. Una volta completato, i ragazzi andranno a testarlo a Brema: «È un passaggio molto importante» spiega Alessia Gloder, 24 anni «perché testare l'esperimento in microgravità è essenziale per capire il funzionamento del sistema in condizioni simili a quelle che si trovano in ambiente spaziale. La torre di Brema è alta 146 metri, in cui è possibile raggiungere livelli di gravità ridotta simili a quelli raggiungibili a bordo della stazione spaziale internazionale per un tempo di circa 10 secondi. L'esperimento viene integrato in una capsula e rilasciato in caduta libera all'interno della torre per una serie di cinque lanci. Nel caso dell'esperimento Star, questi lanci verranno effettuati tra cinque mesi».
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