Campane, il vescovo ordina «Non paghiamo la multa»

Pramaggiore. Don Gianotto, confortato da monsignor Pellegrini, dà battaglia «Faccio ricorso, i rintocchi non ci sono più di notte, cosa vuole Marcandrea?»
Di Rosario Padovano

PRAMAGGIORE. La diatriba sulle campane della chiesa di San Marco troppo rumorose ha regalato nella giornata di ieri altre due entusiasmanti “perle”. La prima: don Giuseppe Gianotto, il capitolo onorario della cattedrale di Pordenone che da anni esercita il suo ministero a Pramaggiore, ha annunciato che la multa non intende pagarla «su consiglio del vescovo, monsignor Giuseppe Pellegrini», alla guida da qualche anno della diocesi di Concordia – Pordenone. Inevitabile il ricorso contro Arpav, che lo scorso ottobre ha eseguito i rilevamenti.

La seconda riguarda Pietro Marcandrea, l'uomo originario di Foggia che ha segnalato “l'inconveniente” di cui ha parla tutta L'Italia. Il pensionato lancia pesanti accuse, sostenendo che a Pramaggiore alcune persone sono in procinto di raccogliere firme per cacciarlo via da qui. Ieri il presule pramaggiorense si trovava al mattino nella vicina località di Blessaglia, per sbrigare alcune commissioni. Si è lasciato avvicinare e a suo modo, senza tanti giri di parole, ha risposto colpo su colpo alle accuse che il giorno prima Pietro Marcandrea gli aveva lanciato.

«Non c'è stato alcun secondo incontro tra me e questo signore. Proferisce parole che non stanno né in cielo né in terra», attacca il sacerdote, «io su questa vicenda ho ragione. Marcandrea mi ha chiesto di evitare i rintocchi di notte e lo ho accontentato. Cosa vuole di più? Poi, non si è più fatto vivo». Don Gianotto ha evidenziato un aspetto nuovo della vicenda. Ha parlato con il vescovo Pellegrini che gli avrebbe suggerito di non pagare la sanzione amministrativa di 1.400 euro inflitta per lo sforamento dei decibel misurati al suono delle campane.

«Se me lo imponesse lui non potrei far altro che far voto di obbedienza», conclude, «la scadenza per la multa è fissata per il 14 aprile prossimo. Noi non paghiamo. Facciamo ricorso. Il vescovo in persona mi ha dato la sua benedizione e mi ha detto “vada avanti”. E così sia».

Ieri mattina Pietro Marcandrea ha dovuto fare i conti con la curiosità delle persone. Llamenta di essere oggetto di pettegolezzi e malelingue. Ci ha accolto di nuovo nella sua dimora, in via Leopardi 12, dietro a un noto supermercato. Affacciandosi dal suo balcone si intravvede il campanile di San Marco. Marcandrea smentisce l'ultima ricostruzione del prete. «Dice che non mi ha più incontrato dopo il primo chiarimento? È falso. Ci siamo incontrati altre due volte: in una occasione pure di fronte alla chiesa, non faccio nulla di male. Il prete deve rispettare le leggi, non può stare al di sopra di queste. La cosa che mi fa più male, tuttavia è un’altra». Suonano i rintocchi dell’orologio nel soggiorno di Marcandrea, rumorosi forse quanto le campane della chiesa.

«Alcune persone vogliono raccogliere le firme per poi portarle al sindaco», mi vogliono cacciare via. Ma questa è casa mia e qui ho deciso di rimanere. Che piaccia o no».

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