Campagna Lupia, la lite fatale sui soldi per il motore della barca

Guerrino Minto aveva chiesto ad Alessandro di restituire 200 dei 500 euro che gli aveva prestato. Per il ragazzo era il padre a dovergli del denaro. Così è scoppiata la lite finita in tragedia

CAMPAGNA LUPIA. «Litigavano e urlavano. Ho sentito un piatto che si rompeva e poi più niente, non si sentiva più niente. Mi sono preoccupata e sono scesa». Quando Ornella è entrata nella cucina al piano terra della casa di campagna di via Primo Maggio 37 c’era suo fratello, Guerrino Minto, 70 anni, agricoltore in pensione, in piedi, con lo sguardo impietrito, e il nipote Alessandro, 21 anni, operaio a Marghera, steso a terra, morto. «O gò copà», le ha detto Guerrino, che dopo aver colpito il figlio con un fendente al petto, ha estratto il coltello, nella speranza che quel gesto potesse restituirgli il suo unico figlio. I medici del Suem sono arrivati sul posto poco dopo, avvisati da Ornella e dallo stesso Guerrino, ma per Alessandro non c’era già più nulla che si potesse fare.

Maledetti soldi. Guerrino ha raccontato al pubblico ministero Francesca Crupi, nell’interrogatorio avvenuto nella caserma dei carabinieri, che la lite, mentre stavano pranzando, è scoppiata per una questione di soldi. Una somma che il padre aveva prestato al figlio per l’acquisto di un motore marino per il barchino. Un motore Yamaha al quale Alessandro, innamorato della laguna e delle gite tra i canali, teneva molto. Tanto da annunciarne pubblicamente l’acquisto con una foto pubblicata sul profilo di facebook: «Ciao Bel bambinone!». Alessandro si era fatto prestare cinquecento euro e il padre venerdì - secondo la sua ricostruzione - gli ha chiesto la restituzione di almeno duecento euro: «Per arrivare alla fine del mese». Il padre ne faceva più una questione di principio, di correttezza nei rapporti. Alessandro però si è rifiutato di renderli, sostenendo che era lui, il padre, a dovergli dei soldi. Seimila euro custoditi in un libretto postale a lui intestato e prelevati dal padre, ancora anni fa, per l’acquisto di un mezzo agricolo.

«Un mezzo necessario per la famiglia», ha spiegato Guerrino agli investigatori. Poi Alessandro ha rotto un piatto, si è avvicinato al padre come per sferrargli un pugno - sempre secondo la deposizione del padre - e Guerrino, in un gesto d’impeto, ha perso la testa, ha afferrato con la mano destra il coltello per il pane che era sul tavolo -una lama da trenta centimetri - e lo ha colpito al petto. Un solo fendente, che lo ha colpito al cuore. Poi sulla casa è sceso il silenzio. Fino a che non è scesa Ornella, la sorella e zia, a capire cosa fosse successo.

Il contesto familiare. Il padre del ragazzo che ha ammesso l’omicidio ora si trova in carcere a Venezia, domani sarà davanti al Gip per la convalida dell’arresto. E sempre da domani gli investigatori sono intenzionati a sentire la fidanzata, e la madre del ragazzo, entrambe distrutte dal dolore. La ragazza, Jessica Recaldin, venerdì sera si è sentita male, ed è stata portata in ospedale, e ieri la stessa sorte è toccata alla madre di Alessandro, Lucia Lacezara, residente a Mestre, ma che in queste ore ha trovato conforto a casa di un’amica a Campagna Lupia. L’obiettivo dei carabinieri della Compagnia di Chioggia e del Nucleo investigativo di Mestre è costruire il contesto in cui è maturato il delitto, capire che tipo di relazione vi fosse tra padre e figlio, e fino a che punto le voci sui loro litigi frequenti siano vere. I genitori di Alessandro sono separati da quando lui era piccolo. Per alcuni anni ha vissuto con la madre e poi, dall’età di 11 anni, si era trasferito nella casa di campagna del padre, dove abita, oltre alla zia Ornella, anche la nonna, Marcellina Turetta, novantenne, inferma, e bisognosa di cure continue. L’ex agricoltore ha a suo carico una vecchia denuncia per maltrattamento dell’ex moglie, che risale a quando erano sposati e vivevano assieme nelle casa di via Primo Maggio. Contro Alessandro però non aveva mai alzato le mani, prima di venerdì.

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