Camorra a Eraclea. Donadio portò i voti, Teso l’aiutò con l’hotel

ERACLEA. “Tutto....oggi tutto a posto, avevano buttato giù il sindaco e l’abbiamo rimesso su....tutto a posto, il sindaco è nostro e non ce lo toglie più nessuno».
Così festeggiava al telefono l’imprenditore Graziano Poles, socio in affari di Luciano Donadio, all’indomani della rielezione di Graziano Teso a sindaco di Eraclea, 2006: una intercettazione che è tra le prove che hanno convinto la giudice Michela Rizzi a condannare l’ex sindaco a 3 anni e 3 mesi di reclusione per concorso esterno nell’associazione mafiosa, al termine del processo ai 25 imputati dell’indagine sul “clan dei casalesi di Eraclea” che hanno scelto il rito abbreviato. Ieri, con il deposito delle motivazioni della sentenza arriva così una prima narrazione giudiziaria (pur appellabile) che dà per acquisita l’esistenza a Eraclea di un clan legato ai “casalesi”.
Il clan e il sindaco
Infiltrato anche «nel tessuto sociale» e le istituzioni. La giudice Rizzi fa sue le accuse mosse dai pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo all’ex sindaco: «Si ritiene ci siano plurimi elementi indiziari gravi e univoci e convergenti. L’appoggio dato dal sodalizio alla campagna elettorale, soprattutto in termini economici, ma anche il procacciamento di voti e il successivo sostegno al sindaco Teso da parte di Donadio e Poles, inseriti nel contesto di un accordo con l’imputato, che avrebbe poi portato reciproci vantaggi. Non si è trattato di astratte promesse, ma vi è prova che l’imputato nella vicenda dell’hotel Victory si sia concretamente e fattivamente attivato nel primario interesse di Donadio e Poles".
"È ragionevole ritenere che detto accordo abbia compromesso la trasparenza dell’opera di Teso quale amministratore pubblico, in quanto esposto a possibili ricatti, e abbia senz’altro rafforzato e consolidato il sodalizio, che nelle sue persone al vertice - Donadio principalmente e Poles - sapeva di poter avere un canale privilegiato per comunicare con l’amministrazione pubblica a Eraclea, essendo quindi in grado di condizionare l’operato del capo dell’amministrazione e di pretendere supporto alle iniziative economiche del gruppo».
«Si concorda con il gip», prosegue la giudice Rizzi, «laddove afferma che Teso era stato eletto con sostegno del gruppo mafioso assumendo la carica pubblica servendosi della quale egli aveva restituito favori illeciti (....) per dare spazio agli interessi economici propri del gruppo mafioso in contrasto con quelli della collettività e con i criteri di buona amministrazione».
Il riferimento è all’impegno pressante dell’ex sindaco Teso per trovare un acquirente per la vendita dell’Hotel Victory, nel quale Poles e Donadio avevano investito 2 milioni e non riuscivano a rientrare. Fallita la trattativa con i fratelli Vigani , ricorda la giudice, «Teso ha continuato ad interessarsi della vicenda (.-..) cercando ulteriori potenziali acquirenti che aveva individuato in un gruppo americano intenzionato alla realizzazione del progetto Valle Ossi e rappresentato dall’avvocato Bruno Barel».
Quest’ultimo però rifiuta, suggerendo altri possibili interessati. «Nel viaggio di ritorno», osserva la giudice Rizzi, «il sindaco Teso ha esplicitato al Poles la sua strategia, per niente ortodossa e lecita: «Piccinato vuole un pezzo di terra vicino al campeggio...io gli dico di sì, ti do il pezzo di terreno, però.... (....) il terreno lo vuole fabbricabile? Bene, allora fabbricabile consiste anche a prendersi su quell’osso là il Victory».
La difesa
Nel corso del processo, Teso ha negato ogni addebito, affermando di essere da tempo in amicizia con Graziano Poles, ma di non aver avuto contatti con Donadio, anzi di essersi intimorito tanto da rivolgersi ai carabinieri quando Donadio si era presentato in Comune a parlarli di concessioni demaniali. Quanto al Victory, disse di essersene interessato solo perché non rimanesse un’incompiuta che deturpasse il paesaggio. Per la giudice Rizzi gli elementi per una condanna sono «gravi e univoci» e ricorda come «altre intercettazioni successive e assai più recenti dimostrano come il sodalizio contasse ancora sull’appoggio dell’imputato, nel periodo in cui era inserito nella locale giunta a guida Mirco Mestre, nella quale Donadio dice, parlando di Mestre : «Boccion (soprannome attribuito a Teso) a lui non può dire no». Affermazione che denota il forte potere di influenza esercitato dal sodalizio sull’esponente politico locale che nel passato si era compromesso». Parola all’appello che la difesa ha già annunciato. —
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