Cambia sesso, si sposa e la sua vita diventa film
CONEGLIANO. Alessandra è un avvocato civilista di 55 anni, noto in Italia grazie anche ad alcune sentenze favorevoli ottenute dalla Cassazione in materia di danni non patrimoniali. Alessandra appartiene a una famiglia della ricca borghesia di provincia, figlia di uno stimatissimo primario, con amici tra la bella-gente-che-conta. Alessandra era Alessandro Gracis, un uomo. Lo è stata fino al luglio scorso quando un'operazione a San Francisco ha sancito, anche fisicamente, un'identità femminile da tempo acquisita e - da meno tempo - accettata. Alessandra ora è sposata. Lo è con una bella donna, incontrata ed amata quand'era maschio; il 21 dicembre 2012, giorno della fine del mondo, è arrivato il «sì» che ha sancito l'inizio del suo nuovo mondo affettivo. Alessandra è anche la protagonista di un docufilm presto nelle sale: tre anni di telecamere accese sulla sua quotidianità per filmare la «rivoluzione» del genere, il complesso e liberatorio passaggio da Alessandro ad Alessandra. Un documento straordinario, firmato dalla regista Annamaria Gallone, un racconto prezioso per trovare una risposta agli interrogativi del secolo moderno: le differenze tra maschilità e femminilità sono naturali e immodificabili oppure si tratta di costruzioni sociali? Alessandra, la sua risposta l'ha trovata.
Alessandra, e pensare che tutto è iniziato con un calendario fatto per beneficenza.
«Non esattamente. È iniziato quando, a seguito di un'operazione, dovetti depilarmi. Un'amica buttò lì una battuta, mi disse che avevo belle gambe, gambe femminili. E siccome dovevamo andare a una festa di Carnevale, volle truccarmi e vestirmi da donna. Ebbene, ha scoperchiato una pentola che sapevo piena di sconvolgenti verità. Non l'avevo mai voluta aprire prima perché ne conoscevo i rischi. Mi era già capitato nella mia vita di mettermi degli abiti femminili, pescandoli da ignaro e curioso dodicenne negli armadi delle donne di casa; ricordo ancora l'orrore e l'angoscia di quando per la prima volta raggiunsi la maturazione sessuale, mentre stavo indossando un paio di slip femminili. La mania di sognarmi e di vestirmi al femminile continuò. Era una pratica contro natura e quindi contro di me, contro la mia intelligenza, contro la mia educazione e anche contro la morale familiare. Era però un'ossessione di cui non avrei mai saputo liberarmi. Non la svelai a nessuno pensando di portarla con me nella tomba. Recitavo la parte dell'uomo, ma in cuor mio sentivo di essere dalla parte sbagliata. Non c'erano però vie d'uscita o scorciatoie. Speravo che l'amore per una donna mi avrebbe guarito. Invece la mia doppiezza non si sarebbe mai chetata. La pacificavo un po' sognando di vestire quei meravigliosi abiti che vedevo luccicare nelle vetrine e che magari compravo per le mie fidanzate sperando di invecchiare presto per non dovermi confrontare più con l'assurda ambiguità interiore di cui non riuscivo a liberarmi. Mai accettai di indossare in pubblico abiti femminili, esattamente come, da bambino, non avevo mai voluto che mi si comprassero abiti dai colori ambigui. Nessuno doveva accorgersi del mio animo femminile. Poi giunsero quel Carnevale del 2005 e l'irrefrenabile desiderio di compiere quel passo, di scoperchiare la pentola e di farsi truccare, per gioco».
Il Carnevale poi è passato. «Sì, ma nel frattempo io ho avuto una sorta di cortocircuito. Così, a quaresima, mi presentai a cena a casa di un amico notaio vestita da donna. Ero orribile, sembravo Lando Buzzanca, ma io mi vedevo bella e femminile... Un ospite rimase sconvolto. Ma io capìì che ero quella: una donna. E che forse avrei dovuto provarci a restare tale. Mi feci delle foto: un modo, forse, per trattenere la mia nuova identità. Quando mi struccai, piansi. Sapevo che il giorno dopo sarei tornata ad essere Kent, mentre io volevo conservarmi Superman, anzi Superwoman. Così, nell'ottobre 2005, mi inventai quella storia del calendario in cui mi feci ritrarre vestita da donna da un mio amico fotografo a scopo di beneficenza. Nessuno avrebbe dubitato di me ed intanto avrei potuto rivedermi truccata e vestita».
Nessuno sapeva che dietro la raffinata signora si nascondeva l'avvocato Gracis.
«Certo che no: il fotografo e il truccatore erano stati bravissimi, ero irriconoscibile e tale volevo restare. La mia disforia però si approfondì e iniziai a frequentare il Mit, Movimento identità transessuale, di Bologna. Lì ascoltai storie incredibili e incontrai persone molto poco fotogeniche, ma che con grande dignità e a rischio dei loro stessi affetti e della propria posizione si ostinavano a mostrare a tutto il mondo la nuova identità, senza vergogne, senza paure e senza compromessi. E io realizzai che se ce l'avevano fatta loro, ebbene, dovevo e potevo farcela anch'io».
Così cominciò a girare con abiti femminili.
«Era il 2009, mi presentai in studio con la gonna e la parrucca. Era ancora Carnevale, ma poi anche questo presto finì e fu un disastro, i soci non lo accettarono e si arrivò alla rottura. Andai anche in udienza così: a Conegliano il giudice mi disse, a margine del processo, "Lei è impazzito". A Venezia andò meglio, la dottoressa Guzzo del Tribunale Civile mi disse che non c'era niente da dire perché il Giudice è perfettamente in grado di capire le sofferenze che stanno dietro a certe decisioni. Con i clienti c'è stata la grande sorpresa: solo uno se ne andò, un noto concessionario d'auto. Gli abbiamo fatto una bella parcella... Gli altri no, gli altri sono rimasti tutti».
Benetton basket compreso.
«Dovevo andare a fare un arbitrato per la Benetton, ma vestita da donna. Mi sembrava corretto informare della cosa il cliente, mi dissi pronta a rimettere il mandato perché non volevo creare imbarazzi o problemi di sorta. Mi fu dato appuntamento in una saletta riservata del Relais Monaco, non alla società: a quel punto ero convinta che mi avrebbero liquidato. E invece Buzzavo, braccio destro di Benetton, mi sorprese: “Tu sei il nostro avvocato”, mi disse, "del resto non ci importa niente". Una cosa che mi diede grande forza. Come fece quel cliente di 70 anni, un agricoltore, che dopo averlo saputo mi abbracciò e mi disse "avvocato se lei ha avuto questo coraggio, allora, la mia causa è davvero in buone mani".
E l'ambiente giuridico come la prese?
«I colleghi a Conegliano sono stati magnifici. Grazie alle famose "sentenze gemelle" della Cassazione del novembre 2008, una delle quali su una mia causa, sono stata invitata a importanti convegni, a Roma, a Bologna, a Catania, a Pisa. A fine novembre del 2008, a margine di una cena di presentazione di un convegno a Roma di cui ero relatore, organizzato dalla Società di Ginecologia e Ostetricia, mi presentai vestita da donna. La relazione all'indomani la feci al maschile... Nessuno segnalò l'anomalia. Nel successivo febbraio parlai come primo relatore ad un Convegno dell'Associazione Melchiorre Gioia davanti a 1.600 avvocati. Sarebbe stata l'ultima volta di Alessandro; di lì a maggio, a Pisa, c'era già Alessandra. È stato commovente l'applauso dei presenti. Non lo dimenticherò mai. Non c'è stato alcun pregiudizio, anzi. L'unica cosa che interessava era parlare di diritto, anzi di dirittti fondamentali, il resto non contava. E poi l'Ordine degli Avvocati di Treviso che mi diede due tesserini professionali per agevolarmi: uno con la mia foto da uomo e l'altro con quella da donna. Un apripista che mi ha permesso di avere in seguito la carta d'identità e il passaporto con foto femminile e nome maschile».
Nessun problema per viaggiare, dunque?
«Solo una volta, all'aeroporto di Venezia, tanto che pensai di telefonare a Marchi per denunciare l’accaduto. L'addetta al check -in non voleva imbarcarmi, mi bloccò e fui costretta a parlare della mia situazione davanti a tutti gli altri passeggeri che aspettavano in coda. Un momento tremendo, intervenne anche la polizia».
E la sua famiglia come ha vissuto il cambio di genere?
«I miei genitori appartengono a un'altra generazione per loro è difficile capire. Continuano a chiamarmi Sandro e per la mamma sono e sarò sempre il suo unico figlio maschio. Anzi lei non sa - e pregherei i lettori di non tradirmi - che sono stata operata. Spera sempre in un pentimento e nel risveglio da un brutto sogno. Io le ho promesso che un giorno sarebbe stata orgogliosa di me. Mi spiace aver causato tanto dolore ai miei: la mia non è una passeggiata sul tappeto della Croisette, ma una navigazione in un mare pieno di onde».
E poi c'è Roberta, suo «moglie» secondo il titolo del docufilm.
«Roberta l'ho incontrata 8 anni fa, quand'ero uomo. Una relazione eterossessuale la nostra. Quando ho iniziato il mio percorso, la storia si è interrotta. Ma lei mi ha assicurato che mi sarebbe stata sempre vicina, a darmi aiuto e sostegno. E così ha fatto: c'era lei a San Francisco lo scorso luglio quando mi sono operata. E io ho voluto sposarla: ci doveva unire un mio amico, il sindaco di un piccolo Comune del Coneglianese. A pochi giorni dalle nozze mi ha mandato un sms: gli uffici non se la sentono, mi scrisse. Proprio così, un sms per far saltare tutto, che amarezza. Ma noi siamo andate avanti e ci siamo sposate a Conegliano, dove l'usciere nel rispondere a Roberta che chiedeva lumi sul fatto che il Comune sembrasse chiuso, le rispose che non era così anche perché si sarebbe dovuto celebrare un matrimono “strano"».
Era il 21.12.2012, il giorno della fine del mondo.
«Che per me è stato un inizio».
Un uomo che diventa donna e che sposa una donna, la sua fidanzata eterosessuale. Un po' complicato, no?
«Il nostro è una specie particolare di amore, quello platonico. Ed è amore, non amicizia. Amore, non sesso. Anche se per me sfiorarle la guancia con una carezza è già fisicità».
Lei all'anagrafe è ancora un uomo, mentre avrebbe potuto sancire il mutamento di sesso già da tempo. Un ritardo dovuto a qualche ripensamento?
«Il ritardo è per tutelare il mio matrimonio. Il cambiamento di sesso in Italia è causa di scioglimento del vincolo. E io voglio tutelarlo».
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