Calzature, bene i fatturati ma calano i posti di lavoro

Denuncia della Cgil: «Troppe aziende della Riviera delocalizzano la produzione restano solo uffici commerciali, quelle scarpe vanno escluse dal made in Italy»
Di Alessandro Abbadir

STRA. I fatturati aumentano e i posti calano. «Le aziende del comparto del calzaturiero della Riviera del Brenta vedono volare i propri fatturati con incrementi negli ultimi tre anni anche del 30% (del 20% sul 2014), ma i posti di lavoro diminuiscono drasticamente a causa della delocalizzazione In un anno sono stati cancellati da questo fenomeno più di 150 posti di lavoro». La denuncia arriva dai vertici della Filctem Cgil con il segretario provinciale Riccardo Colletti e il segretario di zona Michele Pettenò.

«Nell’ultimo anno», spiega Colletti, «abbiamo assistito ad un fenomeno davvero preoccupante. Una decina di azienda hanno chiuso e altre due stanno per chiudere. Tutte con i conti in positivo. Queste aziende rivierasche hanno portato la produzione in Macedonia o in altri paesi dell’est Europa e qui in Riviera terranno solo il marchio per la commercializzazione del prodotto e per poter vendere queste calzature come made in Italy. Ciò è scorretto. Quando il marchio certificato della calzatura della Riviera del Brenta, entrerà a pieno regime queste imprese dovranno essere escluse dal circuito in maniera netta».

La Cgil sottolinea come In Riviera del Brenta per il comparto della calzatura gli affari vadano davvero bene. «È uno dei settori», dice Pettenò, «che in provincia ha risentito meno della crisi. A spiegarlo ci sono specifiche ricerche. Tutto questo incasso cosa ha prodotto? Più denaro per gli imprenditori e meno lavoro in zona».

In Riviera ci sono 900 aziende nel distretto per oltre 10 mila dipendenti e ora dopo il fenomeno dei laboratori clandestini cinesi si fa avanti quello della completa delocalizzazione. «Questi signori che delocalizzano», spiega Pettenò, «on hanno la cultura dell’investimento nella ricerca e nell’innovazione. I prodotti che commercializzano in Italia avranno solo un suono italiano, ma sono merci fatte in altri paesi e come tali vanno trattate».

Nelle scorse settimane tre aziende di Fiesso sono state chiuse perché i proprietari hanno delocalizzato in Macedonia e 30 famiglie sono rimaste senza reddito. Ora la situazione sembra ripetersi. Altre aziende della zona, per un numero complessivo di 40 lavoratori, hanno gli stessi problemi: la produzione rischia di trasferirsi all’estero perché il costo della manodopera è meno caro. «Bisogna agire con fermezza», conclude Colletti, «Vogliono produrre le scarpe in quei paesi? Allora il made sarà del paese di produzione e non della Riviera».

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