Calogero: «Ho sconfitto Toni Negri e Autonomia senza l'aiuto dei pentiti»
PADOVA.
«Cosa ne penso del professor Toni Negri? Da allora non l'ho mai più rivisto e non ho nulla da aggiungere alle sentenze passate in giudicato in Cassazione. Le condanne sono riferite a reati associativi e a fatti concreti, come la rapina di Argelato a Ferrara...». Pietro Calogero non cambia stile. Ha sempre detto che i magistrati parlano solo coi verdetti emessi nelle aule dei tribunali e lui la storia d'Italia l'ha scritta col blitz del 7 aprile 1979: allora in carcere finirono Toni Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone, Luciano Ferrari Bravo, Emilio Vesce e un'altra dozzina di attivisti di Autonomia Operaia.
Una maxiretata che sconvolse Padova perché pochi giorni dopo la procura di Roma contestò un'accusa clamorosa e inverosimile allo stato maggiore di AO: la partecipazione al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro, lo statista Dc massacrato dai colpi della mitraglietta «Skorpion» del Br Prospero Gallinari. Le accuse per il delitto Moro a carico di Negri e AO si sgretolarono nel maxiprocesso romano, una vicenda sepolta nei libri che Pietro Calogero non vuole commentare perché il centro della sua inchiesta fu il terrorismo diffuso che a Padova spuntò nel 1972 con l'assalto al Portello e scatenò il terrore fino al 1982. La verità storica va rispettata Il Procuratore generale della repubblica a Venezia ha fatto capire quanto straordinario sia stato il suo contributo alla lotta all'eversione che insanguinava l'Italia negli anni Settanta. E con una punta d'orgoglio ha ribadito di aver sconfitto Autonomia Operaia senza il contributo di alcun pentito, perché Fioroni iniziò a «collaborare» 8 mesi dopo la grande retata. Il libro «Terrore rosso» è stato scritto per ribadire la verità storica emersa dalle sentenze: l'inchiesta del 7 aprile 1979 portò al rinvio a giudizio di 243 persone, 162 delle quali condannate a 424 anni e 2 mesi di carcere a conclusione dei maxi processi di Padova e Roma.
«Negli anni Settanta sono stati messi in pericolo diritti fondamentali come la libertà e la democrazia e una società che vuole conservare la memoria non può mistificare i fatti con le dispute ideologiche. La prima verità da ribadire è che la mia inchiesta non è frutto del contributo dei pentiti ma dell'analisi di migliaia di documenti e del ritrovamento di armi. Documenti scritti da persone che avevano responsabilità dirette nella guida di AO, struttura organizzata dello spontaneismo armato», ha detto il Procuratore generale. Parole che invitano a riflettere. Oggi i «proletari» sono stati cancellati dai moderni precari che s'identificano in stili di vita borghesi e il terrorismo non punta più all'insurrezione armata contro lo Stato. Dissolto il pericolo comunista in Italia e crollato il muro di Berlino, i «rivoluzionari» hanno abbandonato i campi scuola di Mosca e Praga.
Il conflitto si è spostato con scenari drammatici per la geopolitica e gli equilibri internazionali; valga per tutti il massacro delle Torri Gemelle di New York del 2001. Tesi che verranno discusse dal professor Carlo Fumian, storico e coautore del libro edito da Laterza, più che mai convinto che il terrorismo sia vera strategia politica alimentata dai servizi segreti. Pietro Calogero ha ribadito con tenacia che la sua inchiesta non fu per nulla un blitz, ma un accuratissimo lavoro investigativo. La svolta arriva il 19 marzo 1979 con il sequestro dell'archivio di Negri in casa dell'architetto Massironi che abitava in via del Santo, proprio di fronte a Scienze politiche. E' dalla lettura di migliaia di documenti, giornali e volantini che Calogero arriva a sostenere che AO ha una struttura nazionale e «agisce in sintonia con le Br, come gruppo militare combattente del partito armato».
Il sequestro in casa Massironi Scopre un manoscritto di Toni Negri da cui emerge che il filosofo padovano si incontrava con Renato Curcio, fondatore delle Br, per organizzare le lotte alla Fiat di Torino con il «partito informale di Mirafiori». Su questa vicenda sta indagando nel 1975 anche Giancarlo Caselli, che poi darà un colpo decisivo al terrorismo con il pentimento di Patrizio Peci. Calogero invece dopo aver messo gli occhi sull'archivio di Toni Negri trova i bandoli per inchieste che si dirameranno in tutt'Italia e diventa il superesperto di terrorismo rosso: il ministero lo convoca a Roma come consulente delle procure, anticipando la strada imboccata da Falcone con la Dda.
La verità storica non si fa solo con le sentenze dei tribunali, ma anche con l'analisi delle omissioni e delle colpe degli apparati deviati dello Stato. Pietro Calogero si accorge di essere solo fin da quando con Giancarlo Stiz e Giovanni Tamburrino indaga sulla Rosa dei venti e l'eversione nera, il terrorismo stragista di Piazza Fontana a Milano. E' grazie all'intercettazione della telefonata di Guido Lorenzon all'hotel Plaza che si riesce ad imboccare una pista diversa per la bomba alla Bna di Milano che provocò la morte di 13 persone e 90 feriti: non sono stati gli anarchici, ma i neofascisti di Freda, Ventura e Zorzi a collocare quella valigia acquistata in piazza del Duomo a Padova e colma di esplosivo simile a quello utilizzato a Peteano. Le indagini di Stiz, Tamburrino e Calogero verranno poi trasmesse a Milano e di queste vicende non si parla in «Terrore rosso», ma il ruolo del Sismi viene analizzato in un capitolo che regala colpi di scena. Il ruolo dei Servizi segreti Calogero si toglie un sassolino dalla scarpa e racconta di quando il colonnello del Sismi Notarnicola si presentò a casa sua per raccontare che già nel 1974 aveva messo gli occhi su documenti relativi agli incontri tra il professor Toni Negri e Renato Curcio. Insomma, la Divisione antiterrorismo del servizio segreto militare sapeva tutto grazie alla collaborazione di alcuni infiltrati in AO ma non informò la magistratura sul rischio del legame delle due strutture del «partito armato».
Implacabile il giudizio di Calogero: «La mancata comunicazione delle notizie contenute in quelle carte - afferma l'attuale Procuratore generale - non era stata solo una leggerezza ma qualcosa di più grave: una copertura del Sismi a Negri». Errori e omissioni anche con gli apparati di intelligence che sorvegliavano la scuola di lingue Hypérion di Pargi, dove s'erano radunati diversi esponenti della sinistra extraparlamentare vicina ai futuri brigatisti. Calogero resta convinto che «la Cia utilizzò quella struttura per esercitare un controllo non formale su personaggi e itinerari del terrorismo di sinistra in Italia».
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