Bufera sui Pili: il "progetto d'oro" sopra rifiuti tossici e radon
VENEZIA. «Abbiamo deciso di raccogliere le firme per chiedere un consiglio straordinario sull’area dei Pili». L’annuncio è di Felice Casson. Servono almeno 8 firme per un consiglio straordinario sui Pili, spiega l’ex magistrato. Pd e gruppo Misto, con Serena e Scarpa, sono d’accordo. Liberi e Uguali chiede l'immediata smentita da parte del primo cittadino di quanto riportato dai media.
Ma Brugnaro ieri non era in consiglio. La bufera politica è servita dopo la notizia che, una volta fatto il “blind trust”, il fondo cieco per togliere di mezzo conflitti di interesse sulle proprietà del sindaco, con una velocità che a molti appare sospetta, arriva l’interessamento dell’imprenditore di Singapore Ching Chiat Kwong per investire su ville, palasport, casinò sulle proprietà del sindaco sui Pili.
Investitori stranieri. Kwong in laguna ha acquisito Palazzo Donà, poi il Poerio Papadopoli e ora vorrebbe i Pili, 40 ettari, di strade e barena tra il ponte della Libertà e la Raffineria Eni.
Terreni d’oro inquinati. Un’area che oggi è una delle nuove “aree d’oro” della città ma nessuno l’ha toccata da decenni, inquinata dai fosfogessi della chimica di Porto Marghera e con un problema di radiazioni prodotte dal sottofondo impregnato di radon che, pochi giorni fa, ha portato il gruppo misto ad una corposa interrogazione in consiglio e il senatore Casson ad una interrogazione al ministero dell’Ambiente. Per capire se quei terreni sono stati messi in sicurezza o meno. Casson, in assenza di informazioni certe, ha deciso di avviare una procedura di accesso agli atti per capire se il Ministero dell’Ambiente ha imposto, o meno, alla Porta di Venezia Spa, azienda del sindaco, inserita nel “blind trust”, la bonifica dei suoli inquinati dei Pili.
Asta nel 2005. Quei terreni parevano non interessare a nessuno e oggi sono diventati strategici per tanti interventi: per i parcheggi anti-ingorghi a Venezia; per due nuove fermate del tram; per far passare la pista ciclabile dal Vega a Venezia. Porta di Venezia Spa ha stretto vari accordi con le giunte di centrosinistra per concedere gratis porzioni di terreni (nuova ciclabile) o accollarsi progetti e spese (vedi fermate del tram) in cambio della realizzazione di due parcheggi.
Comprati a 12 euro. Brugnaro acquistò i Pili nel 2005 all’asta come unico offerente. Fece un affare, comprando a 12 euro al metro quadro, dalla Patrimonio dello stato Spa, società del Demanio, poi confluita in Cassa Depositi e Prestiti. Una operazione da 5 milioni di euro per 421 mila metri quadri di terreni che oggi valgono “oro” nel mirino di grandi investitori stranieri.
Prelazione? Nessuna. Il Comune di Venezia poteva far valere il diritto di prelazione ma la giunta Cacciari lasciò perdere per assenza di fondi. Operazione su cui in Comune ci si credeva poco, dicono ex assessori dell’epoca. L’Eni, proprietaria della vicina raffineria, venne presa in contropiede, e avviò una trattativa che non portò a nulla. Brugnaro con i Pili invece ha dimostrato la sua capacità di imprenditore che sa vedere lontano. Si mise di traverso solo la Terminal Service di Teo Rossi, proprietaria di uno dei parcheggi. Si arrivò in Consiglio di Stato ma poi una trattativa portò al ritiro del ricorso. La Terminal Service acquisì, era il 2009, i 10 mila metri quadri d’area, al costo di circa 500 mila euro.
Palazzetto: ne parla dal 2008. Brugnaro poi acquisì, con il benestare di Cacciari, acquistò la Reyer (2006) e nel 2008 mister Umana, oggi sindaco, svelò il suo sogno: realizzare ai Pili il nuovo palasport, necessario alla Reyer diventata nel 2017 campione d’Italia. Il palasport è ora nelle ipotesi di investimento di Kwong assieme alla nuova sede del Casinò (si doveva realizzare nel Quadrante di Tessera), a ville per un nuovo quartiere sul waterfront della prima zona industriale. Dove arriveranno le navi da crociera. Quanto basta per scatenare la polemica politica.
Bonifiche e ricorsi. Gli scogli ci sono, e non sono pochi. La Porta di Venezia Spa ha pendenti al Tar due ricorsi contro il ministero dell’Ambiente che impone la bonifica dei Pili. Il proprietario deve pagare la messa in sicurezza dei suoli ma la società contesta che parte dei fondi delle transazioni del Sito di interesse nazionale dovevano coprire quella spesa. Una bonifica è affare costoso: potrebbe arrivare a costare anche cento milioni di euro.
Non basta un cambio d’uso. E di traverso si mette anche l’Urbanistica perché ai Pili ora non si può fare di tutto e per farlo, occorre modificare Prg e Pat. Passando per il consiglio comunale e la Regione. L’area dei Pili ha una destinazione a verde attrezzato (secondo Prg) a cui si è aggiunta con il Piano di assetto del territorio la destinazione di terminal parcheggi. «L’idea era fondamentale: prevedeva di creare un cuscinetto verde tra Mestre e Venezia», ricorda l’ex assessore Roberto D’Agostino. «La scelta del Pat di prevedere un terminal è stata invece sciagurata». Fatto sta che oggi parcheggi si possono realizzare in quell’area assieme a verde e servizi. Così come resta valido l’acquario pensato dall’architetto Di Mambro per il piano del vicino parco di San Giuliano. «Portarvi case e alberghi è tutt’altra visione della città, che punta allo sfruttamento della risorsa turismo, e su cui occorre discutere seriamente. Non basterà un cambio di destinazione d’uso», avvisa D’Agostino.
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