“Bucintoro” al bivio Da brutta figura a rinascita culturale
«Abbiamo 600 querce già contrassegnate a registro da tagliare come “Donazione Bucintoro”. Ma fateci sapere cosa ne volete fare». Storiella triste di una brutta figura internazionale, in cui il nome di Venezia sembra usato e poi abbandonato, ripreso e rilasciato per un progetto che, almeno a parole, fa ancora battere il cuore ai veneziani. Il Bucintoro, la nave dei dogi alla cui prora svettava la statua di “Venezia Trionfante”, distrutta dai francesi nel 1798, potrebbe infatti essere ricostruita. La cattiva notizia è che il progetto, almeno finora, sembra essere sfortunato e incompreso.
Di riportare in vita il Bucintoro se ne parla dal 1985. Venne costituita addirittura la Fondazione Bucintoro, presidente Davino De Poli, titolare degli omonimi cantieri, segretario l’ex generale Giorgio Paternò. Entusiasmo e budget stimato, 15 anni fa, a 20 milioni di euro. Intere comunità, come Vetralla, nel Lazio, mandano il loro legname. Poi De Poli fallisce, il legname, che era sulle sue banchine sparisce. Della nave non se ne parla più finché la regione francese Dordogna Aquitania annuncia di voler regalare 600 querce secolari per rifare la “nave d’oro”. Viaggi in Francia e stretta di mano a Bordeaux tra i sindaci Giorgio Orsoni e Alain Juppè. Nel frattempo la macchina è partita, la prima quercia inviata per fare la chiglia e con essa arriva una sezione dello scafo. Ma pochi giorni dopo Orsoni viene arrestato per corruzione così come era già capitato a Juppé.
Allo stato, tutto è fermo. La Fondazione si sta ricostruendo in questi giorni: «Presso il notaio Paolo Chiaruttini», spiega il neo presidente Paternò. La “nuova” Fondazione annuncia che sponsor sono all’orizzonte e che «il budget verrà ridotto», anche se non specifica quale sarà. La stessa fondazione “in forma non ufficale” spiega che: «Si tratta di un progetto internazionale, quindi non solo veneziano» e che per questo i cantieri «non saranno per forza solo veneziani» e che «non ci sono problemi con le controparti francesi». Dalla Francia però altrettanto ufficiosamente dicono di sapere solo che: «Si tratta di un progetto tutto veneziano. Se intervenissero cantieri estranei a Venezia andrebbe tutto rivisto».
La risposta dei maestri d’ascia e degli artigiani è venuta ieri alla proiezione di "Il Bucintoro delle Repubbliche", il bel film di Patrick Brunie sul progetto di ricostruzione.
Dai fonditori Carlo Semenzato, Alessandro ed Ermanno Ervas, al remer Saverio Pastor, all'intagliatore Marzio De Min, al restauratore Giuseppe Tonini, alla famiglia Berta, cioè gli ultimi batioro d'Europa, tutti riuniti con il regista francese per vedere se e come il Bucintorosarà una creazione della cultura artigianale veneziana o se, la logica economica prevarrà con costruzioni che verranno appaltate fuori.
«Nell'86 ho fatto il primo preventivo per i remi del Bucintoro», spiega Saverio Pastor, «l'unica cosa rimasta sono tonnellate di retorica. In questi 30 anni, intanto, abbiamo perso i nostri migliori squerarioi e artigiani. Noi possiamo continuare a lavorare a un progetto del genere, ma solo se alla comunità interessa assumersi questo patrimonio. Io posso continuare a fare forcole a mano o in serie. Lo squerariol potrà continuare a fare gondole in legno, oppure in plastica».
Brunie ha rilanciato: «Questa del Bucintoro è un'opera "politica" perché tutto si basa sul recupero dell'Arsenale. Se la politica lo consegnerà agli artigiani allora avremo una certa Venezia. Ma se l'Arsenale non tornerà alla sua funzione, troveranno subito una destinazione commerciale e turistica. Allora affideremo la vostra sapienza agli archeologi».
Un passaggio sottolineato da Ermanno Ervas: «Se ci danno per un mese il permesso per le forge all'Arsenale noi saremo in grado di rianimarlo. Vi faccio un esempio: per due giorni ho avuto le forge dell'Arsenale. Ho lavorato gratis, ma in quei due giorni 2.500 persone al giorno hanno pagato un biglietto di 10 euro per venire a vedere: turismo intelligente».
Più pessimista Giuseppe Tonini: «La città di Venezia non esiste più nella misura in cui non si trova più un panettiere e se il rapporto è di 10 architetti per ogni operaio. Se non ci sono artigiani, se la città non sente questa esigenza, allora accetterà che il Bucintoro sia fatto in vetroresina, a Mogliano e con perni in acciaio cinesi».
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