Brugnaro vuole vendere un quadro di Klimt per ripianare i debiti

L'opera "Judith II Salomè" del celebre pittore austriaco è tra le opere che il sindaco vuole mettere all'asta per tappare il buco di bilancio
Il "Judith II Salomè" di Gustav Klimt e il sindaco Luigi Brugnaro
Il "Judith II Salomè" di Gustav Klimt e il sindaco Luigi Brugnaro

VENEZIA. Chiudere i “buchi” di bilancio del Comune di Venezia - con oltre 60 milioni di euro di sfondamento tendenziale del Patto di stabilità 2015 - anche vendendo i Klimt e gli Chagall conservati al museo di Ca’ Pesaro. Oltre ad altre opere “superflue” dei Musei Civici, il tutto per un valore complessivo di almeno 400 milioni di euro. È il “pensiero stupendo” del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Anzi, qualcosa di più, visto che lo ha già inserito nel dossier per il riequilibrio dei conti di Ca’ Farsetti, che intende presentare anche al governo (Brugnaro ieri era a Roma anche per questo). E ne ha parlato anche pochi giorni fa alla riunione in Comune con i parlamentari veneziani proprio sulla situazione difficilissima di bilancio, anticipando anche un possibile placet di Renzi all’iniziativa. «C’è un quadro di Klimt che da solo vale almeno 70 milioni di euro - avrebbe detto Brugnaro - e un altro di Chagall anch’esso di grande valore. Venezia è pronta a inaugurare una prassi per tagliare il suo debito, che potrebbe essere seguita anche da altre città». Il Klimt di cui Brugnaro parla è un capolavoro come la “Giuditta II” (1909), che il grande protagonista della Secessione viennese dipinse nel 1909, acquistata alla Biennale del 1910 per la Galleria Nazionale Moderna di Ca’ Pesaro. Si tratta, in pratica, della “Gioconda” del museo veneziano, il suo quadro più importante, intorno al quale i Musei Civici avevano anche costruito la grande mostra su Klimt e la Secessione ospitata due anni fa al museo Correr, con una sezione anche a Ca’ Pesaro. Ma lo segue a ruota l’altro dipinto che il sindaco vorrebbe mettere all’asta, quello di Chagall, anch’esso a Ca’ Pesaro. È “Il rabbino di Vitebsk”, che il grande pittore francese di origine bielorussa dipinse nel 1922. Opere che sul mercato internazionale, se vendute all’asta, avrebbero indubbiamente un grande valore. Un grande quadro di Klimt - certo non più importante della “Giuditta” - come il “Ritratto di Adele Bloch-Bauer” del 1907, è stato venduto qualche anno fa da Christie’s a Londra per 88 milioni di dollari (circa 93 milioni di euro). E il dipinto di Chagall - quotazioni dell’artista alla mano - non ne varrebbe meno di 30. Il “grimaldello” per le vendite delle opere dei Musei Civici per Brugnaro - secondo quanto anticipato anche ai parlamentari - sarebbe la legge 42 del 2004, il Codice dei Beni Culturali, sfruttando il capitolo delle valorizzazioni.

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Ma sarà arduo dimostrare che cedere all’asta capolavori o opere importanti dei Musei Civici sia un modo per valorizzarle. Ed è da escludere che capolavori come quello di Klimt o Chagall possano lasciare il territorio nazionale per essere venduti all’estero. Da Roma infatti è arrivato subito l’altolà a Brugnaro del ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini. «Penso sia solo una battuta o più comprensibilmente una mezza minaccia per chiedere più risorse al governo in vista della Stabilità», commenta il ministro. «Le norme del Codice Beni Culturali per evitare lo smembramento delle collezioni pubbliche e garantire la pubblica fruizione delle opere chiudono il dibattito. Un dibattito che, visto dall’estero, farà altro male alla credibilità italiana». Brugnaro, comunque, ha già “allertato” la Fondazione Musei Civici, per stilare la lista delle opere degli artisti che potrebbero essere messe in vendita. Purché siano “foresti”, però, come Klimt o Chagall. «Non è stata decisa» rende noto il sindaco, «alcuna cessione di opere d’arte di pregio. Sarà necessario procedere ad una verifica attenta e puntuale del patrimonio a disposizione, ma al momento non esiste alcun elenco. La situazione di bilancio di Venezia è nota a tutti. In mancanza di altre risorse, la necessaria salvaguardia della città potrebbe anche dover passare attraverso la rinuncia ad alcune opere d’arte cedibili perché non legate, né per soggetto né per autore, alla storia della città». Traduzione: se serve, si vende. Franceschini permettendo.
 

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