Botte e torture alla sposa-bambina. Ma la colpevole è una donna
MARGHERA. Quattro anni di reclusione e una provvisionale di 10mila euro con quantificazione ulteriore del danno in sede civile. Ieri la seconda sezione della Corte d'Appello di Venezia ha confermato il pronunciamento di primo grado per Jasar Nermin, una donna macedone di 37 anni residente a Marghera, condannata per i reati di sequestro di persona, maltrattamenti e lesioni aggravate a carico di una tredicenne sposa-bambina che doveva unirsi in matrimonio con il figlio di lei
I giudici della Corte d'Appello hanno respinto entrambi gli appelli sul caso: sia quello presentato dalla difesa della donna, con l'avvocato Daniele Toffanin, per ottenere la riduzione della pena, sia quello della Procura generale per un ritocco al rialzo della condanna. E così facendo hanno confermato non solo i 4 anni di condanna stabiliti dal tribunale collegiale nel giugno 2016, ma anche la provvisionale di 10mila euro per la parte civile, rappresentata dall'avvocato Luca Mandro.
In aula a Palazzo Grimani era presente Jasar Nermin, ma non la vittima, che nel frattempo sta a fatica cercando di superare i traumi per quanto subìto. A suo tempo davanti al giudice era finito anche il figlio della donna, allora 17enne, accusato degli stessi reati della madre, oltre che di violenza sessuale: su di lui si era pronunciato il tribunale dei minorenni con una condanna a sei anni.
Nell'agosto 2012 la ragazzina, allora tredicenne, era stata venduta come sposa a 13 anni per tremila euro a Skopje. Era stata segregata in casa a Marghera e picchiata dalla futura suocera, Jasar Nermin, dopo essere stata violentata dal 17enne che sarebbe dovuto diventare suo marito e che doveva avere la prova della sua illibatezza.
Al 17enne, la promessa sposa non piaceva. E per questo aveva iniziato a picchiarla. Ai parenti arrivati a Marghera per celebrare l'addio all'illibatezza della tredicenne, il 17enne aveva mostrato il lenzuolo con la "prova". Quando lei provava a ribellarsi, la violenza si faceva ancora più feroce con scariche elettriche nella vasca da bagno piena di acqua e sale.
Ma i motivi per cui la sposa-bambina diventata oggetto di botte erano anche molto futili: ad esempio perché il caffè era troppo amaro o perché la stanza a detta dei parenti di lui non era stata pulita a dovere.
La tredicenne era riuscita a scappare da casa dopo quattro mesi di prigionia, approfittando di un momento di distrazione dei suoi aguzzini: il primo aiuto trovato era stato quello dei condòmini nell'androne del palazzo. Aveva denunciato tutto alla polizia, che aveva affidato le indagini alla Squadra mobile. Rapida l'individuazione dei due aguzzini che avevano trasformato l'adolescenza della ragazzina in un inferno.
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