Borse contraffatte anche nella vetrina di lusso
VENEZIA. Attenzione non soltanto agli ambulanti di colore, ma nessuno di coloro che acquista le loro borse a venti o trenta euro ritiene che si tratti di autentiche Vuitton o Gucci. Mentre chi si presenta «Alla Prigina», uno dei negozi più frequentati del centro storico, anche perché spende quattro o cinquemila euro, tende a escludere che gli sia stato rifilato un falso. Il 17 maggio 2011, invece, gli agenti della Polizia municipale hanno sequestrato una quindicina di borse apparentemente di Hermes, in realtà dei veri e propri falsi.
E, ieri, davanti al giudice monocratico Fabio Moretti è comparso il titolare del negozio, il veneziano 67enne Paolo Jovino: doveva rispondere di ricettazione e di commercio di prodotti falsi. Contro di lui si era costituito parte civile anche Hermes, ma alla fine il magistrato lo ha assolto perché il fatto non sussiste dalle pesanti accuse. Si è difeso sostenendo che si è approvigionato da un grossista di cui si serve da anni e non avrebbe mai pensato che gli fossero stati rifilati Hermes fasulli.
In sostanza, anche lui sarebbe stato raggirato, ritenendo che fossero borse autentiche della maison francese. Alcune delle quindici borse che i vigili urbani veneziano hanno sequestrato erano in coccodrillo ed erano state poste in vendita a prezzi variabili tra i quattromila e i cinquemila euro. Le altre, invece, erano in pelle modello «byrkin» e costavano seicento erro l’una. Prezzi considerevoli, ma che conosce il settore sostiene che un vero borsa Hermes di coccodrillo costa molto più di diecimila euro.
Stando, dunque, per un esperto, vendere a pressi così bassi un prodotto dal marchio così famoso, comunque il giudice ha assolto Jovino, ritenendolo in perfetta buona fede. I vigili urbani quel giorno di maggio sono entrati a colpo sicuro alla Parigina, dopo aver visto le borse in vetrina: erano gli stessi che avevano compiuto i sequestro presso «Mazzo n le Borse» di San Tomà: l’artigiano che imitava i modelli di Hermes, ma che li metteva in vendita a un decimo del loro prezzo. Il magistrato sosteneva che le borse di Mazzon erano identiche nella forma, nella grandezza, addirittura nelle rifiniture, come i pezzi in metallo o le tracolle. L’artigiano veneziano aveva sempre negato, sostenendo che i suo prezzi sono diversi e non sono le stesse neppure le dimensioni. Inoltre, anche il negozio, viste le condizioni modeste, non può dare adito a dubbi.
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