Boom di negozi chiusi a Mestre, in centro sono 216
MESTRE. Boom di negozi sfitti in centro, Confesercenti lancia l'allarme: «Mestre non ha più appeal». Il censimento delle serrande abbassate nel cuore della città è frutto di uno studio effettuato da Confesercenti Venezia in collaborazione con l'associazione Il Cantiere.
Un mix di ingredienti alla base della desertificazione commerciale, tra questi la crisi che morde e la mancanza di un progetto e di una visione globale sulla città. Ad illustrare la mappa delle vetrine abbassate Maurizio Franceschi e Alvise Canniello, autore materiale dello studio.
Censimento. La mappatura ha preso in esame 54 tra vie e piazze, le più centrali: da calle del Sale a via Colombo, da via Palazzo a via Sauro, piazzetta Giordano Bruno, via Einaudi, via Carducci, Riviera XX Settembre, via della Torre, via Teatro Vecchio, insomma il quadrante centrale che si irradia dal “salotto cittadino”. Sono state censite, in quest'ambito, 944 unità al piano terra non residenziali (commerciali, pubblici esercizi, direzionali), di cui 581 tra negozi bar e ristoranti, 147 legati al terziario.
Un dato su tutti: le attività sfitte sono 216. Il doppio rispetto all'ultimo censimento, effettuato nel 2012, in cui erano 105. Altro dato che la dice lunga sulla ripresa lungi da venire: oggi la media dello sfitto per via incide del 22,88%, nel 2012 incideva dell'11,3 per cento. Due volte tanto. Piazza Ferretto accentra il 7,75% delle attività complessive. Da sottolineare che il 50 per cento del totale del terziario (147 attività censite), è concentrato in nove vie (Torre Belfredo, Einaudi, Manin, Riviera XX Settembre, via Verdi, via Circonvallazione, Calle del Sale, via Carducci e Calle del Gambero).
Serrande abbassate. La metà dei negozi sfitti dell'intera torta che ne conta 219 si raggiunge mettendo assieme appena 12 vie: tra queste ci sono via Olivi, piazza Ferretto, ma anche via Palazzo e via Caneve. Se poi andiamo invece a vedere nel dettaglio le strade che superano la media di negozi sfitti, che è del 22,88%, troviamo le strade messe peggio in quanto ad attività chiuse: in via Carducci 11 su 47, in Riviera XX Settembre 8 su 32, in via Palazzo 8 su 30, in via Caneve 12 su 37, in via Verdi 14 su 30, in via Sauro 4 su 5, in galleria Barcella, che doveva diventare la via d'oro dello shopping glamour, 7 su 15 sono chiusi e in via Einaudi, che sembra un campo di bombardamento, 10 su 30.
Banalizzazione. A peggiorare la situazione, come spiega bene Canniello, è che se ai negozi sfitti ci assommiamo i pubblici esercizi, significa che per una via dove un terzo delle attività sono chiuse, ad illuminare le vetrine sono banche, onoranze funebri, agenzie immobiliari e interinali.
Perché venire in centro? La geografia merceologica mette in evidenza un'offerta che viene banalizzata e non si diversifica da quella dei centri commerciali, che propongono le stesse catene e franchising dei negozi che sopravvivono in città, ma in un contenitore migliore, perché all'interno dei templi dello shopping si trova di tutto e si hanno a disposizione molte facilitazioni: park gratis, bar, lavanderia e calzolaio all'occorrenza. «Quello che emerge», si legge nello studio, «è uno scenario che descrive una situazione del centro senza un orientamento definito, dove la componente dei servizi alla residenza rimane forte, la funzione terziaria è spinta e la funzione aggregativa si esprime in spazi limitati e con una offerta commerciale non in grado di attrarre clientela da fuori città».
«L'offerta commerciale è debole», ripete Franceschi, «anche nella ristorazione, i dati sono la cifra di una città che seppure si sta rivalutando sotto il profilo della qualità urbana, perde attrattività dal punto di vista dei consumi e degli investitori, che qui non puntano». Conclude: «I motivi possono essere la grande distribuzione, la mancanza di innovazione e di politiche attive da parte dell'amministrazione».
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