Boom del part time in Veneto: più 65%. Allarme Cgil: "Così, tutti più poveri"

I lavoratori a tempo parziale in 12 anni sono  saliti a quasi 400 mila, ma i salari restano sempre troppo bassi. Giovani penalizzati
Il boom dei contratti part time in Veneto
Il boom dei contratti part time in Veneto

VENEZIA. «Il Veneto del record delle esportatori e del turismo che ne fa la prima regione d’Italia e la quarta in Europa, è anche la regione dove il lavoro oggi è sempre più precario. E rischiamo per questo, alla lunga, di perdere la sfida nell’innovazione, parlo dell’Industria 4.0, senza un vero salto di qualità nelle condizioni di lavoro nelle aziende».

Christian Ferrari, nuovo segretario generale della Cgil del Veneto, di fresca nomina, mette in guardia politica e impresa del Veneto. Specie a Venezia dove moltissimi sono i lavoratori nel commercio, nel turismo e nel terziario. Ad allarmare sono i dati del part time che in Veneto ha raggiunto quote record: quasi 400 mila i contratti, dicono i dati Istat relativi al 2016. Di questi contratti, quelli a tempo indeterminato sono 315.400. Il loro numero supera del 65,6% i valori del 2004 quando si contavano 190.500 lavoratori part time e del 23,5% quelli del 2010 quando erano 255.400. Oggi nella regione un lavoratore su cinque ha un contratto part time, insomma.



E si tratta soprattutto di donne e giovani a cui il part time è sostanzialmente un contratto imposto e non scelto: nel 2016 il part time involontario, dice la Cgil del Veneto, è stato pari al 64,7% tra i maschi e al 48,4% tra le donne. Tra i dipendenti, il dato schizza al 74,4% dei maschi e al 49,3% delle donne. Dati più che doppi del 2004. Il part time è un contratto tutt’altro che marginale oramai nei settori del terziario ma anche nel manifatturiero: made in Italy, alimentare e tessile vedono una incidenza di contratti part time sulle assunzioni che va dal 22 al 25 per cento tra gli uomini e dal 27 al 35 per cento tra le donne. E le retribuzioni, invece, rimangono basse: in media un lavoratore veneto a part time percepisce 11.348 euro lordi l’anno (circa 875 euro al mese) che diventano 12.756 (981 euro mensili) se il rapporto di lavoro è indeterminato. Le paghe più basse penalizzano i giovani fino a 34 anni che portano a casa qualcosa come 688 euro al mese che diventano 792 euro mensili per i contratti a tempo indeterminato. E le qualifiche non fanno la differenza: un operaio part time arriva a prendere 7.700 euro l’anno mentre un impiegato arriva a 11.049 euro.

Christian Ferrari, segretario Cgil Veneto
Christian Ferrari, segretario Cgil Veneto


«L’esplosione di lavoro part time dopo gli anni della crisi è il paradigma dell’evoluzione del mercato dei lavoro. In questi giorni si parla di dati confortanti, sull’uscita dalla crisi, e di un incremento dei contratti di lavoro ma vorrei ricordare che mancano all’appello qualcosa come un miliardo e 100 milioni di ore di lavoro rispetto a dieci anni fa», spiega Ferrari. «Il conto lo faccio rispetto alle unità di lavoro a tempo pieno, calcolate sulle 40 ore di lavoro. Un dato di riferimento importante perché significa che stiamo parlando di milione e 200 mila unità, ovvero persone, in meno. Il part time, poi, era nato per conciliare i bisogni dei lavoratori con quelli della famiglia, penso alle donne madri, e invece oggi è vissuto come una imposizione con una bassa qualità di lavoro e salario di conseguenza ridotto. E quando parlo di qualità intendo anche la difficoltà di molti lavoratori a progredire nella professione e questo rappresenta un freno per la produttività delle imprese. Insomma rischia di essere una trappola», dice il sindacalista. Un vecchio slogan delle battaglie sindacali era: “Lavorare meno, ma lavorare tutti”.

Ferrari sorride amaro: «Invece nell’attuale mercato del lavoro si è tutti più poveri e non tutti riescono a lavorare. Insomma, va peggio».


 

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