Bonifiche Porto Marghera, la vergogna della muraglia incompiuta
MESTRE. C’è puzza di bruciato, ovvero di progetti pensati e realizzati non per risolvere problemi ma per arricchire sia le imprese del Consorzio Venezia Nuova che li realizza grazie al sistema della “concessione unica” sia i politici e amministratori pubblici che hanno sottoscritto i loro progetti. Puzza di “mazzette”, insomma, anche nelle opere di messa in sicurezza delle quindici “macroisole” inquinate di Porto Marghera, preliminari all’avvio delle tanto invocate quanto irrealizzate bonifiche dei suoli. Lo stesso presidente dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato della messa in sicurezza ambientale della laguna di Venezia, ieri a Mestre, ha auspicato un «ulteriore approfondimento della magistratura ordinaria».
La Tangentopoli lagunare. Come per il Mose, sotto la lente della magistratura ci sarebbe pure la “muraglia” di marginamento del sito di interesse nazionale (Sin) di Porto Marghera (1.621 ettari in totale) con meno di 3 km di tratti ancora da completare e quindi inefficace dal punto di vista della protezione ambientale. «Quello che è successo in laguna negli ultimi 15 anni, sotto il governo di Galan prima e Zaia ora», ha detto ieri la deputata veneta Laura Puppato, membro della Commissione d’inchiesta, «è una pagina infamante e orrenda che dimostra quanto il malaffare sia presente anche in laguna. È una pagina da chiudere per ripartire finalmente nel segno della legalità e della trasparenza, di opere da realizzare per la loro utilità pubblica e non per i guadagni che assicurano alle imprese che le realizzano».
Un mare di soldi. C’è voluta una lunga inchiesta di deputati e senatori della Commissione bicamerale sugli illeciti ambientali e nel ciclo dei rifiuti per rimettere sotto i riflettori un altro scandalo, oltre a quello delle dighe del Mose, che riguarda la costosissima e incompiuta “muraglia” di 41 chilometri, realizzata al 94% e già costata quasi 800 milioni di euro a cui dovrebbero esserne aggiunti altri 250 o 300 milioni per completare i tratti di palancole e canalette di drenaggio prima che quelli già realizzati si sgretolino del tutto. In totale un miliardo di euro, ai quali vanno aggiunti altri 320 milioni per potenziare il depuratore Pif di Fusina dove dovrebbero essere convogliate le acque drenate dalla muraglia, prima che finiscano in laguna e in falda.
Era prevista la spesa di un ulteriore miliardo per le opere di retro-marginamento (lungo l’asse di via Fratelli Bandiera-Malcontenta) che però una recente conferenza dei servizi ha definito «inutile dal punto di vista ambientale e dannoso per il maggior rischio di allagamenti che implicherebbe». C’è da coprire anche il buco di 320 milioni che grava sulla concessionaria della Regione per il Pif di Fusina-Sifa, il consorzio controllato dal gruppo Mantovani di cui fa parte anche Veritas, a causa dell’accordo siglato più di 15 anni fa (da Galan, il direttore del ministero Mascazzini e l’allora a.d. del gruppo Mantovani, Baita) che assicurava a Sifa un canone annuo per la depurazione delle acque civili e industriali che le sarebbero state inviate, con la postilla - come ha spiegato ieri Giuseppe Fiengo, commissario del Consorzio Venezia Nuova - che se i canoni pagati non erano sufficienti sarebbero stati integrati dalla Regione.
Brugnaro, Zaia e Galletti assenti. Martedì, all’auditorium della Città metropolitana uno dei tre assenti “eccellenti” era il sindaco Luigi Brugnaro, malgrado fosse previsto il suo intervento introduttivo, e rimpiazzato dall’assessore Simone Venturini. Erano presenti il prefetto Domenico Cuttaia (che ha lanciato un appello affinché, finalmente, si realizzi una «vigilanza rigorosa e costante sul completamento delle opere»), i comandanti di Carabinieri, Guardia di finanza, Forestale, Marina militare, Polizia provinciale e Municipale, il questore Angelo Sanna, il procuratore aggiunto della Repubblica Adelchi D’Ippolito e altri magistrati. Non c’erano, invece, il ministro Galletti e il governatore Zaia, chiamati in causa un po’ da tutti i presenti, a cominciare dal segretario della Cgil, Enrico Piron (che parlava anche a nome di Cisl e Uil) arrabbiato «per i 30 anni di inutile attesa di una re-industrializzazione che torni a creare occupazione e ricchezza a Porto Marghera» e del direttore di Confindustria Venezia e Rovigo, Carlo Stilli, che hanno ribadito la necessità di una «cabina di regia delle istituzioni locali e del ministero per completare le opere di marginamento, bonificare le aree e mettere sul mercato i terreni per un loro riutilizzo produttivo». Più di qualcuno ieri si chiedeva il motivo, compresi i 107 ettari di aree cedute da Eni (con l’aggiunta di 38 milioni per le bonifiche) ma che Comune e Regione non sembrano interessate ad avere per dimostrare che si può bonificare e re-industrializzare.
La “santa alleanza”. L’assessore regionale Roberto Marcato ha adombrato una “santa alleanza” con il sindaco Brugnaro per porre fine alle polemiche e e dimenticare il passato. L’assessore comunale Venturini, però, non ne ha parlato, limitandosi a chiedere al governo, come ha fatto lo stesso Marcato, di stanziare i fondi per il completamento della muraglia affidando a interlocutori “vicini al territorio” e non meglio precisati, la gestione degli interventi mancanti.
«Se il governo metterà effettivamente a disposizione i 300 milioni necessari», ha detto l’assessore regionale Marcato, «si potrà completare nel giro di tre anni un’opera strategica per Porto Marghera e per la protezione della laguna». Venturini ha proposto «per la gestione del risanamento ambientale» un accordo sul modello di quanto fatto tra Mantova, Ferrara e Ravenna per bonificare i terreni inquinati dei rispettivi petrolchimici che occupano, però, un’area molto più ridotta rispetto a Porto Marghera.
Le risorse in arrivo. I tanto richiesti 250 milioni, ora lievitati a 300, per completare la “muraglia” potrebbero arrivare entro l’anno, come ha spiegato ieri il sottosegretario De Caro, con la Legge di stabilità (finanziaria) che potrebbe stanziare 100 milioni all’anno per tre anni a questo titolo.
I controlli inesistenti. Alessandro Bratti, presidente della Commissione d’inchiesta, ha tirato ieri le conclusioni del convegno di presentazione delle conclusioni dell’indagine su Porto Marghera ripetendo che ora «tocca alle istituzioni locali e nazionali assumersi le loro responsabilità per completare la muraglia, avviare le bonifiche e ridare un futuro ai siti industriali dismessi» e per ribadire che «l’ufficio del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche, nella veste di committente per conto dello Stato, non ha mai esercitato, né esercita tuttora, alcun effettivo controllo sia sul sistema di assegnazione da parte del Consorzio Venezia Nuova dei subappalti relativi al Mose e alla bonifiche sia sulla congruità dei corrispettivi corrisposti ai subappaltatori».
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