Boatto è stanco: il boss del clan dei “mestrini” alleati di Maniero chiede di tornare in libertà
da un anno è ai domiciliari per motivi di salute: la Procura è contraria
MESTRE. Ha compiuto ottant’anni e per oltre 25 anni ha vissuto in carcere. Da un anno, per motivi di salute in tempi di emergenza Covid, è agli arresti domiciliari. Ma ora vuole tornare ad essere un uomo libero. Così il suo legale, l’avvocata Evita Dalla Riccia, ha presentato un’istanza al Tribunale di sorveglianza: ieri si è tenuta l’udienza e i giudici si sono riservati di decidere nel merito.
Gilberto Boatto non è un pregiudicato qualunque: ha contribuito a scrivere la storia della malavita veneta e, per certi versi, italiana.
Udinese di nascita, era arrivato a Venezia negli anni Ottanta con il pedigree del duro: lui, che in Africa aveva servito la Legione straniera. Inizialmente più furbo che violento, per tutti diventa “il gatto”: si fa strada, dando vita – con il nucleo storico di complici – alla “banda dei mestrini”, quel gruppo di malviventi che il boss Felice Maniero prima tollera e con i quali poi si allea nella gestione dei traffici illeciti di Mestre e Venezia. Venendo ricambiato.
La sua condanna più pesante è, infatti, quella per la partecipazione all’omicidio dei fratelli veneziani Massimo e Maurizio Rizzi e del cugino Franco Padovan (svaniti nel nulla), che Maniero aveva condannato a morte perché volevano un pezzo della torta dello spaccio e perché li riteneva responsabili dell’omicidio del fidato Giancarlo Millo, il “Marziano” (crivellato di colpi al tavolo di una trattoria al ponte delle Guglie).
Boatto è stato tra i protagonisti della celebre inchiesta “Rialto” dell’allora pubblico ministero Francesco Saverio Pavone seguita alla collaborazione di Maniero, ma è stato condannato negli anni anche per traffico di stupefacenti e usura (insieme alla moglie), per prestiti a strozzo che misero sul lastrico molti commercianti veneziani.
E poi gli affari nel ricco mercato del trasporto dei turisti, nell’isola del Tronchetto. Vicende giudiziarie che hanno segnato gli anni Ottanta e Novanta: persino dalla cella e nel corso dei processi avrebbe mandato alla moglie gli ordini per gestire i prestiti ad usura.
Poi, però, si è messo in regola, ha rispettato le leggi della vita in cella. Così Gilberto Boatto ha iniziato ad usufruire della semilibertà e di permessi premio e da un anno si trova agli arresti domiciliari. Ma ora vuole tornare libero e in tal senso il suo legale ha presentato un’istanza al Tribunale di sorveglianza, chiedendo la libertà condizionata, che pure prevede una serie di regole da rispettare per cinque anni, prima di tornare ad essere un anziano qualunque.
La Procura distrettuale antimafia ha però espresso parere negativo. Tanto più che per poter ottenere la libertà condizionale si deve essere in regola anche con il pagamento delle spese processuali e quelle di detenzione. E a Boatto, negli anni lo Stato ha pagato anche l’assistenza legale, perché gli investigatori – pur ritenendo che avesse un suo “tesoretto” – non sono mai riusciti a individuare alcun bene da sequestrargli. Agli atti, non risulta il pagamento della multa per il Processo di Rialto.
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