Biscotti con l’hashish spediti all’ergastolano

PADOVA. Quella confezione di biscotti che stava per finire nella sua cella era molto preziosa. La confezione era chiusa, sigillata alla perfezione ma all’interno non c’erano solo i tarallucci: nel fondo c’era un penetto di un etto di hashish dal quale si sarebbero ricavate circa 300 dosi.
Ieri per il destinatario di quei biscotti è arrivata la condanna per spaccio a 2 anni e 8 mesi da parte del tribunale collegiale. Sono stati invece assolti due famigliari. Lui è Alex Gianduzzo, condannato all’ergastolo per l’omicidio di due albanesi nel 2003 a Ceggia e originario di San Donà. Per l’accusa, vista la grande quantità, Gianduzzo quella droga l’avrebbe spacciata ad altri detenuti. Gliel’aveva spedita Manuel Galdo, 29enne originario di Musile che aveva già patteggiato la pena. Quest’ultimo era stato arrestato nell’ottobre del 2015. Nei mesi precedenti – secondo gli investigatori – il giovane aveva rifornito Gianduzzo anche di schede telefoniche sim, cellulari e hashish poi commercializzati all’interno delle mura del carcere di Padova.
Poco prima dell’arresto i carabinieri di Abano, che tenevano sotto controllo Gianduzzo, avevano capito che l’uomo puntava a farsi consegnare in carcere della droga per venderla. Grazie a intercettazioni venne ricostruito che la merce avrebbe dovuto essere spedita a un recluso “amico”, dopo essere stata inserita in un pacco di biscotti. I carabinieri avevano seguito Galdo che aveva effettuato la spedizione in un ufficio postale: quando il bottino, intercettato nel centro postale di Camin è giunto a destinazione, è scattato l’arresto.
L’omicidio dei due cugini albanesi sconvolse all’epoca l’intera comunità per l’efferatezza dell’esecuzione. Un agguato per rapinare la droga ai due albanesi che si era trasformata in una efferata esecuzione.
Era stato Alex Gianduzzo a trattare con gli albanesi l’acquisto dei due chili di cocaina e accordarsi per l’appuntamento della sera del 21 ottobre 2003 allo zuccherificio di Ceggia. L’errore più grossolano è stato poi quello di vantarsi di ciò che aveva fatto, forse per farsi temere o magari per far capire che erano che era un vero duro. Una serie di particolari che erano serviti agli investigatori per risalire ai colpevoli dell’omicidio.
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