Biennale architettura, la vernice per la stampa

Costruire dal grado zero: uno spazio per riflettere. Da Koolhaas anche un viaggio nell’Italia degli scandali e del malaffare

VENEZIA. È una Biennale Architettura austera, densa di contenuti e in cui più che per essere “sedotti” sul piano visivo, si andrà per essere stimolati a riflettere e a pensare, quella che l’architetto olandese Rem Koolhaas ha costruito con “Fundamentals”, la sua Mostra internazionale che ieri ha vissuto il suo primo giorno di vernice e che sarà inaugurata il 7 giugno.

Se con le Biennali Architettura precedenti - specie negli ultimi anni - molto si era spinto anche sul versante spettacolare, con un proliferare di installazioni che avevano reso labili i confini con la Mostra di Arti Visive, con Koolhaas si torna invece a una riflessione più concettuale sul momento dell’architettura mondiale e quasi alla riscoperta di un suo “grado zero”, per ripartire, rispetto a un quadro di progettazione globalizzata che è anche alla base dell’interrogativo su cui il curatore ha impostato la riflessione sull’ultimo secolo di modernità affidata ai padiglioni, di cui riferiamo a parte.

Sembra quasi di stare a Kassell - per la somiglianza con il taglio problematico della rassegna quinquennale tedesca di Arti Visive - più che a Venezia, proprio per l’angolazione scelta da Koolhaas, che verrà non a caso innervata da incontri e di dibattiti di approfondimento durante tutta la manifestazione, sino al 23 novembre. “Elements of Architecture”, che occupa interamente il Padiglione Centrale dei Giardini, è proprio un ritorno all’alfabeto dell’architettura e le stazioni di sosta sono appunto gli elementi fondamentali di ogni edificio a cui ogni architetto è ricorso nel tempo; dai pavimenti alle pareti, dai soffitti ai tetti, dalle porte alle finestre, alle facciate, ai balconi, ai corridoi, via via fino alle scale, comprese le scale mobili (anche se tra i modelli esemplificativi non c’è, ad esempio, quello di quelle che Koolhaas realizzerà per il nuovo grande magazzino che sta progettando proprio a Venezia, all’interno del Fontego dei Tedeschi). C’è spazio persino per il gabinetto, considerato anch’esso - fin dall’epoca della latrina a forma di carro delle Terme di Caracalla citato in mostra - un “fondamentale” dell’architettura, senza nessuna “deviazione” duchampiana, ma proponendo addirittura una tavola sinottica sulla “scienza dell’evacuazione” di Alexander Kira. Elementi architettonici che il curatore della mostra declina naturalmente alla sua maniera, attenti anche ad aspetti sociologici, come l’uso “politico” del balcone da parte dei dittatori di ogni tempo.

L’altra “gamba” della Biennale di Koolhaas è “Monditalia”, la sezione dedicata al nostro Paese che si snoda lungo le Corderie dell’Arsenale. E più che di architettura, qui, si parla di urbanistica, di sociologia, di politica, di ambiente, in un ritratto impietoso e accusatorio dell’ultimo secolo di vita del nostro Paese - emblema della “degenerazione” architettonica della globalizzazione - che scorre sotto i nostri occhi accompagnata dalla “striscia” ingrandita della “Tabula peutingeriana”, una mappa stradale italiana del V secolo e dai frammenti di film italiani che Koolhaas ha scelto con Alberto Barbera per visualizzarne la storia recente.

È l’Italia degli scandali, delle inefficienze, delle opere pubbliche inutili e “gonfiate” dalle tangenti, quella posta sotto i nostri occhi da Koolhaas proprio nel giorno in cui a Venezia scoppia l’ennesimo scandalo legato all’uso distorto dei fondi del Mose da parte dei politici e degli amministratori nostrani. Fin dall’Italietta coloniale posta vicino a un’installazione sulla vergogna dell’immigrazione a Lampedusa. Ma declinando tutti i topoi dell’inefficienza urbanistica e architettonica del nostro Paese e della sua voracità. C’è la Milano 2 di Silvio Berlusconi e l’Aquila non ricostruita. C’è la Pompei che lentamente si disgrega e il centro per il G8 mai aperto, abbandonato al degrado alla Maddalena. C’è la lunga teoria delle “cattedrali nel deserto” costruite e abbandonate nel nostro Paese soprattutto dal dopoguerra a oggi. C’è la Milano Marittima panem et circenses e l’Italia delle discoteche. E c’èla documentazione fotografica dei luoghi di residenza dei membri di organizzazioni mafiose in Italia incrociandoli con i mutamenti del tessuto urbano produttivo. Per sé - e per la figlia Charlie, fotografa che collabora con lui all’installazione - Koolhaas si riserva un tuffo (con la fascinazione della Biblioteca Laurenziana di Firenze, di michelangiolesca memoria), sull’Italia del Rinascimento. Che forse apprezza di più di quella attuale.

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