Bertocco, inchiesta per aiuto al suicidio
Fascicolo della Procura sul 59enne di Fiesso che ha scelto di morire in Svizzera. Il procuratore Cherchi: «Atto dovuto»
FIESSO D’ARTICO. Si accendono i fari della Procura sulla storia di Loris Bertocco, il 59enne di Fiesso d’Artico che l’11 ottobre ha scelto di morire in Svizzera. Perché Loris, paralizzato da 40 anni in seguito a un incidente in motorino e da 15 anche cieco, per arrivare nella clinica a 20 chilometri da Zurigo è stato necessariamente accompagnato da qualcuno. Ed è proprio su queste persone, e su eventuali loro responsabilità, che la magistratura vuole fare chiarezza. Il procuratore capo Bruno Cherchi ha aperto un fascicolo al momento a carico di ignoti, un cosiddetto fascicolo modello 44. L’ipotesi di reato è quella prevista dall’articolo 590 del codice penale sulla “Istigazione o aiuto al suicidio”, in questo caso nella fattispecie relativa esclusivamente all’aiuto al suicidio. Il codice prevede la reclusione da cinque a dodici anni per «Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione».
«Un atto dovuto per accertare eventuali responsabilità», puntualizza il procuratore capo Cherchi che ha voluto riflettere alcuni giorni prima di prendere la decisione di aprire un fascicolo. A pesare dal punto di vista della giurisprudenza c’è il recente precedente di Marco Cappato, l’esponente dei Radicali e dell’associazione Luca Coscioni che si era autodenunciato dopo aver accompagnato dj Fabo a morire in Svizzera. La Procura di Milano, dopo aver indagato Cappato per aiuto al suicidio, aveva chiesto l’archiviazione del procedimento sostenendo che «Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso». Ma il gip aveva rigettato la richiesta, chiarendo che «In Italia non esiste, né è riconosciuto dalla Costituzione, il diritto al suicidio», imponendo alla Procura l’imputazione coatta e quindi la richiesta di rinvio a giudizio. Tutto mentre al Senato giace da mesi la proposta di legge sul fine vita. Ai primi di settembre, Cappato ha chiesto di andare a processo con giudizio immediato.
Ora anche la Procura di Venezia ha aperto un fascicolo per un caso con molte analogie, ma una differenza sostanziale. È chiaro che Bertocco sia stato accompagnato a morire in Svizzera da alcuni familiari e conoscenti, ma non è stato esplicitato da chi, né ci sono state autodenunce. Una traccia è stata data dal lungo reportage del giornalista Luca Bertazzoni sugli ultimi giorni di vita del 59enne, andato in onda la scorsa settimana su “PiazzaPulita” su La7. La Procura potrebbe acquisire il filmato che ha documentato l’ultimo viaggio di Loris, dallo struggente saluto con la mamma Renata al colloquio finale con il medico della clinica, dall’ultima cena con il brindisi fino a quando il veneziano è entrato nella struttura dove ha salutato la vita.
A dare la notizia della scelta di Loris erano stati gli amici Luana Zanella e Gianfranco Bettin, rimasti in Italia, che avevano spiegato come Loris «preparandosi al viaggio in Svizzera, non l’aveva descritto come il suo ultimo, ma come una sorta di sopralluogo preparatorio a un’eventuale scelta estrema». A loro, Bertocco aveva affidato 11 pagine di memoriale. «Qualcuno ha provato a convincermi che questa scelta poteva essere rimandata, che c’era ancora tempo. Li ringrazio per questo tentativo e per essermi stati vicini, ma il mio tempo è terminato. Il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia
Video