Benvenuti all'Orto del Campanile. Un piccolo sogno

Dietro la chiesa dei Carmini un gruppo di volontari ha allestito uno spiazzo dove fa crescere gli ortaggi. Chiunque ne ha bisogno e non ha i soldi può averne. "Guardate: è il posto più bello del mondo"

VENEZIA. Una bella storia, piccola piccola. Ma di quelle che scaldano il cuore. È quella dell’Orto del Campanile, intitolato al patriarca Marco Cè, un fazzoletto di terra dietro la splendida chiesa dei Carmini, a Venezia.
Giusto un anno fa parroco e parrocchiani hanno deciso di ripulire quello spazio in cui tutti buttavano immondizie. «Bello, e che ne facciamo poi?», l’ovvia domanda. «Un orto, per chi ha fame».
Ma, siamo sinceri: ve li vedete dei veneziani che allestiscono un orto e ci fanno crescere qualcosa che non siano erbacce o turisti?
Detto fatto. Il combattivo gruppo ha chiesto informazioni, ha trovato esperti. Ed ecco qua: un orto che di più belli non ce n’è.


Ma soprattutto di più utili e romantici (perché quasi sempre le idee romantiche sono alla fine quelle più utili): in questo orto chiunque può entrare. E chiunque può prendere quello di cui ha bisogno. La verdura, si sa, costa cara. Beh, non è più un problema. Se hai veramente bisogno, entra. La porta è nella calletta a fianco della chiesa. Prendi per te e i tuoi figli. Se hai qualche soldo da lasciare. Se no è bene lo stesso. E ne guadagni anche un sorriso dei volontari.
«Ora stiamo curando gli ortaggi invernali», spiega don Silvano Brusamento, il parroco, «ma quelli estivi e autunnali sono stati un successone». I volontari lavorano chiacchierando. Una signora minuta con i capelli ricci sorride: "Non è il posto più bello del mondo?". Beh...
Per un’anziana signora, lo è. Lei ha la pensione minima ma non finisce di sorridere e ringraziare: »Erano anni che non assaggiavo più le “tegoline”, i fagiolini. Sono troppo care. Beh, mi sembrava di ritrovare i profumi e i gusti di quando ero bambina».
Se qualcuno ha tempo e voglia viene qui a lavorare sotto la guida dei più esperti. «Poi ci sono anche delle persone che avevano bisogno di lavorare. Erano arrivate a chiedere la carità per strada», spiega don Silvano, «Allora li abbiamo avvicinati: “Amico, piuttosto che chiedere soldi a sconosciuti, vieni da noi che di lavoro ce n’è. Ti passi un’ora e qualcosa ti paghiamo". Così riprendendo a lavorare manualmente, raggranellando da noi qualche euro, sono rientrati nell’ottica di cercare di darsi da fare. Hanno cercato. Alcuni hanno trovato».
Intanto hanno trovato un bel posto e delle belle persone. E anche una bella storia.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia