Bengalesi infuriati: «Nuova moschea a Mestre o bloccheremo la città». Venturini: "Non accettiamo ricatti"

MESTRE. «Hanno avuto sette anni per chiudere il centro di preghiera e dirci che non era a norma, lo hanno fatto adesso, dopo che l’abbiamo acquistato, allora che ci indichino dove andare nel frattempo».
Se mercoledì il Comune non avrà individuato un luogo transitorio dove consentire ai fedeli della comunità islamica bengalese di pregare venerdì prossimo in attesa di avere in mano una soluzione definitiva, i musulmani scenderanno in strada. È questo il messaggio rivolto all’Amministrazione che arriva dai fedeli di Allah del Centro culturale di via Fogazzaro, disposti a pazientare fino a mercoledì prossimo, quando è in programma l’incontro tra vigili, comune e regione per definire una soluzione.
Via Facebook la replica dell'assessore alle politiche sociali, Simone Venturini: "Scioperino pure, non accetteremo ricatti"

Il portavoce della comunità bengalese Kamrul Syed: "Siamo cittadini come tutti: o ci danno una sede o fermeremo i ristoranti di Venezia, Fincantieri, le scuole"
Ultimo venerdì di preghiera. Ieri mattina alle 11 i funzionari della polizia municipale hanno consegnato al presidente della comunità di via Fogazzaro, Mohammed Alì, la diffida. Da lunedì si chiude. All’ora di pranzo, in concomitanza con la preghiera delle 13.30, il presidente ha comunicato alla comunità l’ultimatum del Comune e spiegato ai fedeli che quello di ieri, sarebbe stato l’ultimo venerdì di preghiera in via Fogazzaro. La maggior parte non l’ha presa bene. Come Bashar, che annuncia: «Io parlo per me, venerdì prossimo se non avrò un altro luogo dove andare, pregherò in strada».
Manifestazione. Il clima è teso. «Se hanno chiuso questo centro di culto», ragiona Alì, «significa che hanno un asso nella manica e sanno dove farci pregare nel frattempo, fintanto non troviamo un altro spazio, altrimenti perché farci andare via? Forse vogliono metterci alla prova, ma se non ci forniscono una soluzione immediata che non arrechi disturbo al vicinato, venerdì scenderemo in strada: non andremo al lavoro, manifesteremo prima in via Fogazzaro, poi in stazione, poi bloccheremo treni e tram, siamo migliaia. Lo faremo venerdì, poi il venerdì dopo e se non basta tutti i giorni». A rincarare la dose Kamrul Syed, portavoce della comunità: «Siamo cittadini tanto quanto quelli che protestano per il rumore, il sindaco deve pensare a loro come a noi. Mercoledì devono darci un’alternativa, in caso contrario sciopereremo e fermeremo i ristoranti di Venezia, la Fincantieri e le scuole del centro». Non solo. «La gente si lamenta di noi, ma quando ce ne andremo da qui, in quest’angolo di strada arriveranno spacciatori e delinquenti, noi eravamo una garanzia, se ne accorgereanno».
Il portavoce della comunità bengalese Kamrul Syed: "Siamo cittadini come tutti: o ci danno una sede o fermeremo i ristoranti di Venezia, Fincantieri, le scuole".
Alternative. «Questo centro ci è costato 300 mila euro, ce lo siamo pagato», spiega Alì, «abbiamo individuato dei siti alternativi, non abbiamo il denaro per acquistarli ma li possiamo affittare o possiamo vendere questo e con il ricavato iniziare a pagarne uno di nuovo, ma il Comune ci deve venire incontro con il cambio di destinazione d’uso. Abbiamo visto dei siti, capannoni ed ex concessionari tra via Torino e via Ca’ Marcello». Conclude: «La comunità rimane in attesa fino a mercoledì». Domenica è in programma una riunione, lunedì un incontro con la comunità islamica di via Monzani.
Braccio di ferro. Sulla soluzione definitiva, la volontà di trovare un accordo da entrambe le parti c’è, sulla necessità, invece, di continuare a pregare mentre si cerca una nuova sede, la situazione è più confusa. Il Comune sostiene che in otto anni più una proroga, la comunità poteva attrezzarsi; il Centro, al contrario, è convinto che l’amministrazione, una volta decisa la chiusura, dovrebbe mettere a disposizione un luogo transitorio per continuare a praticare il culto. «La disponibilità che riusciamo a dare», interviene l’assessore alla Sicurezza, Giorgio D’Este, «è agevolarli nel rispetto delle leggi, perché possano trovare in tempi utili un altro luogo dove andare, ma il provvedimento del Prefetto è chiaro, devono smettere di pregare in quel sito». Sul luogo dove pregheranno venerdì prossimo, però, non ci sono certezze. «Noi ci sforziamo, ma devono sacrificarsi anche loro in qualche modo. Hanno avuto una proroga, sapevano di dover ottemperare, adesso accelerino il passo».
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