Bazoli: bisogna porre un freno all'assedio di Venezia

Parla il presidente della Fondazione Cini: storia e futuro uniti per la cultura e per la città
Il presidente del Cds di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli a Roma, 9 luglio 2013. ANSA / ETTORE FERRARI
Il presidente del Cds di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli a Roma, 9 luglio 2013. ANSA / ETTORE FERRARI

VENEZIA. Sono trascorsi trent’anni da quando Giovanni Bazoli è entrato nel Consiglio Generale della Fondazione Giorgio Cini, e diciotto da quando - l’8 novembre 1999 - ne è divenuto presidente: carica che è stata appena rinnovata fino al 2019. Tanta acqua è passata sotto ai ponti di Venezia, città in profonda e per tanti versi drammatica trasformazione. E poiché la Fondazione partecipa intensamente alla vita della Serenissima, Bazoli rileva che «una città fragile quale Venezia non può essere invasa dalla marea montante e inarrestabile di un turismo di massa senza che ne risulti modificato in modo irreparabile non solo l’assetto economico, ma lo stesso tessuto civile e sociale della comunità. Una mutazione che è già in atto, come dimostrano una serie di dati e di segnali allarmanti: una popolazione ridotta ormai alla dimensione di un medio borgo, una comunità civile sempre più frammentata in lobbies e corporazioni, la trasformazione della destinazione d’uso di palazzi ed edifici residenziali, lo scadimento sempre più evidente delle offerte commerciali locali a livello del turismo di massa (in stridente contrasto con i servizi al massimo livello riservati a una ristretta élite)». E così il rischio che corre Venezia è di perdere progressivamente la sua identità e la sua forza aggregante. «I primi ad essere consapevoli di questo rischio e a impegnarsi per evitarlo» riconosce Bazoli «sono le autorità locali e tutti i veneziani, ma è il mondo intero che guarda con preoccupazione alla sorte di Venezia».

Non è fenomeno di oggi, ma con l’andar degli anni va prendendo sempre più velocità.

«Sono andato a rileggermi il discorso di insediamento alla Cini nel 1999. Osservavo già allora che se è vero che i gravi problemi di Venezia vanno affrontati e risolti a livello politico e amministrativo (e più radicalmente ancora, secondo una mia personalissima convinzione, a livello costituzionale), è evidente che ogni questione riguardante Venezia va inquadrata in una dimensione culturale. È per questo motivo che, se venisse a mancare l’apporto delle maggiori istituzioni di cultura qui presenti - tra le quali la Fondazione Cini ha certamente una posizione di spicco - le prospettive di questa unica, miracolosa città risulterebbero ancor più incerte».

Lei parla di assetto costituzionale, in qualche modo immaginando uno status a sé per Venezia.

«Già cinquant’anni fa Bruno Visentini - persona di grande autorevolezza, che fu a lungo presidente della Fondazione Cini - si chiedeva se Venezia potesse essere governata dalle sole autorità locali e non anche da quelle rappresentative di tutte le comunità per le quali costituisce un valore. Venezia, come tutti i siti che l’Unesco ha definito “patrimonio dell’umanità”, pone un vero e proprio problema di “governance”, dal momento che il tema della sua salvaguardia interessa il mondo intero».

Quali rapporti ha intrattenuto in questo quarto di secolo con la città e con le sue autorità?

«Si tratta di un tema che noi avvertiamo come assolutamente centrale, anche se nel tempo non sono mancate difficoltà e incomprensioni. Lo “status” dell’isola di San Giorgio Maggiore può essere considerato emblematico: infatti, benché si trovi al centro del Bacino di San Marco, a un tiro di schioppo dal Palazzo Ducale, l’isola, essendo demaniale, è allo stesso tempo dentro e fuori la città. Forse proprio perché concepita e nata in funzione di questo luogo, la Cini ha goduto sin dalle origini di una grande autonomia e indipendenza dagli interessi locali, quasi di una sorta di “extraterritorialità”, che è stata utilizzata - a partire dai tempi dello stesso Fondatore Vittorio Cini, di Bruno Visentini, di Vittore Branca - per acquisire una dimensione e una reputazione internazionale, che rafforza e allo stesso tempo viene rafforzata dal prestigio di Venezia. A mio avviso, è proprio questo aspetto che ha sempre consentito alla Fondazione Cini di rendere in passato e di continuare a rendere oggi un servizio importante - oso dire insostituibile - alla città».

Proviamo a rileggere la situazione che ha trovato in Cini all’inizio della sua presidenza e il cammino compiuto?

«La Fondazione si trovava allora di fronte a gravi problemi, a partire dalle persistenti e sempre più gravi difficoltà di bilancio. Sull’isola abbiamo realizzato alcuni interventi fondamentali, che ne hanno trasformato profondamente la fisionomia e la vita. Grazie anche al fatto che nel 2001 riuscimmo per la prima volta a inserire la Fondazione negli stanziamenti disposti in attuazione della Legge speciale per Venezia, abbiamo potuto non solo restaurare e ristrutturare gli edifici che si trovavano in uno stato precario, ma riprogrammare gli insediamenti sull’intera isola. Alla fine del 2013 l’investimento complessivo da noi realizzato ammontava a 48 milioni di euro. La superficie in metri quadrati di edifici destinati a un utilizzo culturale è praticamente raddoppiata. Il recupero è quasi del tutto terminato: mancano soltanto un paio di tasselli, ossia l’edificio che un tempo ospitava le aule dell’Istituto Professionale per le Attività Marinare “Giorgio Cini” e il Teatro Verde. Ma anche per questi spazi abbiamo progetti che contiamo di riuscire a realizzare a breve”.

Quali sono gli interventi più importanti che hanno segnato l’isola di San Giorgio dall’inizio del 2000 ad oggi?

«Parliamo di una vera trasformazione. Abbiamo promosso il restauro dell’intero complesso monumentale, il “ritorno” delle Nozze di Cana, la realizzazione di un grande centro espositivo alle Sale del Convitto, il labirinto Borges, l’auditorium “Lo Squero”, la trasformazione della Manica Lunga, il recupero dell'edificio che ospita “Le Stanze del Vetro” e l’International Center on Climate Governance. Riteniamo poi essenziale, per la rivitalizzazione dell’isola, la creazione del campus per studenti, ricercatori e artisti, intitolato a Vittore Branca, che dal suo avvio ha già ospitato circa duemila studiosi di tutto il mondo. E va ricordata l’apertura al pubblico - grazie alla generosità di Yana, figlia del Fondatore, e di tutta la famiglia Cini - di Palazzo Cini a San Vio, che oltre alle preziose collezioni permanenti ospita periodicamente mostre d’arte contemporanea».

In che cosa è consistita la realizzazione della Nuova Manica Lunga? Le storiche celle dei benedettini erano state devastate con l’occupazione napoleonica e trasformate in dormitori per la truppa.

«Dopo il restauro realizzato da Vittorio Cini, i dormitori furono destinati ai “convittori” delle scuole professionali gestite dai Salesiani. Quando le scuole furono trasferite, i Salesiani restarono e utilizzarono la Manica per affittare le camere. Con l’appoggio del cardinale Scola i Salesiani furono convinti a lasciare l’isola e si trovò finalmente una sede degna per ospitare quella che era ed è la più ricca biblioteca italiana di storia dell’arte. Abbiamo indetto un concorso internazionale di architettura, vinto da Michele De Lucchi con un progetto che ha suscitato un’approvazione unanime, anche da parte di coloro che temevano fosse alterato l’equilibrio architettonico preesistente. Oggi la Nuova Manica Lunga è presentata su tutte le riviste specializzate come una delle più belle biblioteche del mondo».

Un altro capitolo della trasformazione riguarda le Sale del Convitto, diventate un grande centro espositivo.

«In precedenza nelle Sale del Convitto erano ospitate la palestra, la mensa e altri spazi destinati all’Istituto Professionale per le Attività Marinare, creato insieme ad altre scuole professionali all’inizio della vita della Fondazione, nei primi anni ’50, per ragioni filantropiche. Le scuole, inizialmente destinate agli orfani di guerra, furono progressivamente trasferite in terraferma o chiuse. E ben presto gli edifici vennero a trovarsi in stato di totale abbandono e degrado. Gradualmente tutti gli spazi sono stati trasformati nel grande “International Center for Visual and PerformingArts”».

Un episodio a sé riguarda il Refettorio palladiano, sulla cui parete di fondo avete deciso di inserire il fac-simile delle Nozze di Cana di Paolo Veronese. Una vera sfida.

«Il ritorno del dipinto del Veronese nella forma del fac-simile concepito da Adam Lowe ha costituito un’operazione di grande audacia culturale, avendo per oggetto monumenti di importanza e rinomanza mondiale. Ma ha incontrato pieno e convinto consenso di tutti gli esperti e studiosi, anche i più severi: Salvatore Settis, ad esempio, fu uno dei più autorevoli sostenitori dell’operazione».

Detto del piano di recupero del complesso dell’isola di San Giorgio, quali sono le linee guida sul versante della programmazione culturale? Scorrendo il “cartellone”, emerge che la Fondazione organizza un centinaio di eventi all’anno. Ma con quale impronta prevalente?

«Dalle mostre ai convegni scientifici, dai concerti ai seminari di formazione specialistica: di fatto non c’è un giorno dell’anno in cui non sia previsto un evento a San Giorgio. Per rendere l'idea, in questo momento, in occasione della Biennale, sono aperte sei diverse mostre organizzate dalla Fondazione in collaborazione con istituzioni di prestigio internazionale. Le mostre in corso per questa Biennale: a San Vio Vic Muniz al primo piano, a San Giorgio Boetti, Rauschenberg, Sottsass, Pae White, McCormack. Oggi vediamo pienamente realizzato a San Giorgio l’obiettivo di creare un grande Centro Internazionale per le arti visive e performative. Questo centro, che è considerato uno degli spazi espositivi più suggestivi e più ambiti di Venezia, consente alla Fondazione Cini di realizzare, in collaborazione con importanti fondazioni, musei e gallerie internazionali, grandi progetti espositivi dedicati anche all'arte contemporanea».

L’apertura all’arte contemporanea e la proiezione internazionale possono implicare il rischio di mettere tra parentesi il rapporto con Venezia e con i veneziani?

«Rispondiamo con i fatti. “Le Stanze del Vetro” è un progetto culturale pluriennale realizzato in collaborazione con Pentagram Stiftung - dei coniugi David Landau e Marie-Rose Kahane - dedicato alla valorizzazione del vetro veneziano del Novecento. L’iniziativa - offerta al pubblico, in primis cittadino, gratuitamente - è strettamente legata alla tradizione tipicamente veneziana della lavorazione artistica del vetro, e ha riscosso un grande successo tra i veneziani. Accanto a una programmazione annuale di mostre ed eventi espositivi, “Le Stanze del Vetro” prevedono la costituzione di un centro studi e di un archivio generale del vetro veneziano. A testimonianza dello sforzo imponente che la nostra istituzione sostiene a vantaggio della più ampia diffusione possibile della cultura e a servizio della comunità (soprattutto locale), occorre citare l’apertura gratuita dei servizi delle biblioteche della Fondazione Cini e in particolare della Nuova Manica Lunga. Un servizio erogato a tutti senza oneri per la pubblica amministrazione e che dimostra in modo indiscutibile come la Fondazione intenda essere aperta e attenta alle esigenze e attese della cittadinanza veneziana».

Sulla biblioteca avete in corso di progetto un pionieristico programma di digitalizzazione.

«Anche grazie alla collaborazione con realtà internazionali come il Politecnico di Losanna, abbiamo lanciato innovativi programmi di digitalizzazione, che consentono alla Fondazione di essere considerata un punto di riferimento tra le istituzioni culturali mondiali. A questo proposito la nostra ambizione è quella di realizzare un centro sperimentale e di formazione nel settore della conservazione, fruizione e restauro digitale del patrimonio culturale. Sarebbe il primo al mondo e aprirebbe innumerevoli opportunità di lavoro e di ricerca. Penso per esempio al grande cantiere di digitalizzazione, e allo speciale scanner progettato da Adam Lowe, che sta digitalizzando tutta la fototeca dell’arte veneta».

Insieme al recupero e alla valorizzazione dell’isola, al rilancio del programma culturale, una sfida ulteriore consisteva nel riassetto istituzionale e organizzativo. E dare una prospettiva salda al bilancio.

«In questo senso sono stati ridefiniti i compiti e i poteri del Consiglio Generale e del Comitato Direttivo, trasformando quest’ultimo in un vero e proprio Consiglio di amministrazione. Inoltre nel nuovo Statuto è stata introdotta la figura dei Sostenitori, impegnati a sostenere con contributi triennali l’attività della Fondazione: in questo modo è stato affrontato e risolto anche il problema finanziario che aveva assunto proporzioni drammatiche, essendosi nel frattempo esauriti i fondi messi a disposizione dal Fondatore, e che avrebbe compromesso la sopravvivenza stessa della Fondazione. Grazie all’intervento dei Sostenitori - oggi: Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo, Eni, Fondazione Cariplo - la Cini è in condizioni di programmare nel medio periodo la sua attività e di affrontare le spese generali relative alla gestione dell’intera isola ricevuta in concessione. A fronte di poco più di 5 milioni di proventi da attività istituzionali, oltre 3 milioni derivano dai contributi versati dai Sostenitori. Il nuovo assetto istituzionale è inteso ad assicurare alla Fondazione quella vita indipendente, culturalmente e finanziariamente, che sin dalle origini era stata voluta dal Fondatore, ma che nel corso del tempo risultava sempre più difficile garantire».

Resta da dire del capitolo della concessione dell’isola di San Giorgio Maggiore da parte dello Stato alla Fondazione, di recente rinnovata.

«Dalla concessione demaniale dipende l’esistenza stessa della Cini. Abbiamo evitato il rischio di una concessione frazionata, ossia di una ridistribuzione parcellizzata di tutta l’area che oggi è attribuita alla responsabilità unica della Fondazione Cini. Attualmente l’isola di San Giorgio Maggiore risulta affidata in concessione alla Fondazione Cini fino al 2033. E credo sia una garanzia per chi ama Venezia e per i veneziani stessi».

Ormai 30 anni dopo il suo ingresso in Cini e dopo 18 anni di presidenza, qual è l’apporto che ha inteso dare a Venezia?

«Innanzitutto desidero ricordare che il mandato di presidente mi è stato più volte rinnovato con il gradimento, a norma di Statuto, dei patriarchi Marco Cè, Angelo Scola e Francesco Moraglia. Non posso poi parlare del bilancio di questi anni senza sottolineare il ruolo fondamentale che è stato svolto - nell’ideare le varie iniziative, nel tessere tutti i rapporti con le diverse istituzioni italiane e straniere, nel creare una squadra di esemplare efficienza - dal segretario generale, Pasquale Gagliardi. Per quanto riguarda il rapporto della Fondazione con la città, mi permetto di richiamare ancora una volta quanto dissi nella seduta di fine 1999: “Occupandomi della Cini condividerò con i veneziani, insieme alle compiacenze giustificate dal glorioso passato, anche il turbamento di chi vede molte ombre di incertezza sul futuro di questa città, che può e deve restare una gemma unica e luminosa di civiltà».

Ma il suo bilancio e la sua lettura del futuro di che colore sono?

«Non si devono assumere ruoli di responsabilità se non si è fermamente convinti di poter esercitare un’influenza positiva sul corso degli eventi».
 

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