Barraud molla: «Il mio fisico non ce la fa»
Ferito 18 mesi fa nell’attentato di Parigi il rugbista asso del Mogliano non tornerà in campo

MOGLIANO VENETO. Una sera alla club house come tante, l’allenamento appena concluso. Il sipario sulla stagione del Mogliano che sta per calare, domani l’ultima di Eccellenza in casa delle Fiamme. Con i compagni s’adopera in cucina, il menù prevede grigliata. Stavolta però non scherza come suo solito, si siede sul bancone e libera il rospo che tiene dentro da tempo. Racconta il dramma degli ultimi mesi, il desiderio di tornare che cozza con la dura realtà di un fisico ancora provato per quell’attentato che ha cambiato il mondo e la sua vita.
Rugby, rimase ferito al Bataclan: Barraud lascia lo sport
Deciso. Aristide Barraud ha deciso: basta con il rugby giocato. Speravano tutti di rivederlo, ci credeva lui per primo. Citava l’esempio di Greg LeMond, ferito dal cognato con un fucile a pallini e poi trionfatore al Tour. Voleva riscoprirsi regia illuminante e piede implacabile. Non sarà così: la follia jihadista di venerdì 13 novembre 2015 non ci consentirà di riapprezzarlo, ovale in mano, in un match vero. La ragione fa spesso a schiaffi con il cuore.
L'attentato. I 13 punti al piede del derby con Rovigo di quasi 18 mesi fa rimarranno gli ultimi di una carriera che lo vide sbocciare al Massy e vestire la casacca dello Stade Français. Poi la beffarda sosta di campionato e il terrorismo che sventra Parigi: i ristoranti, Bataclan, Stade de France. Aristide è con la sorella Alice davanti al Petit Cambodge. Questione di attimi, lo sferragliare dei kalashnikov. Ne sono morti tanti quel maledetto venerdì, compresa la veneziana Valeria Solesin. “Gigi”, come è noto a Mogliano, viene colpito al polmone e alla caviglia, ma si salva. Quattro operazioni. La prima, delicatissima ai polmoni. Ma Aristide è con noi. E il lungo inseguimento al campo - «Il rugby m’ha salvato la vita, l’idea di tornare a giocare m’ha salvato la vita» - diventa manifesto di coraggio. Mesi riassunti in una toccante lettera.
La lettera. «Ho lottato dal primo giorno» la sue parole, «avevo scelto di tornare contro le raccomandazioni dei chirurghi. Ho iniziato un percorso pazzesco, recuperando la forma fisica al di là di ogni previsione. Grazie a Mogliano, Piacenza, Federazione, amici, staff e dirigenza. Sono stati fantastici. E poi il ds Pagotto, la psicologa Bounous: senza di loro, non avrei fatto niente. Il preparatore Da Lozzo: la sua professionalità e amicizia sono state le armi per lottare. Ho conosciuto dolori che mai avrei immaginato».
Il nuovo incubo. Il nuovo incubo che si materializza: «Da tre mesi ho visto il mio corpo non accettare più lo sforzo fisico e inviarmi segnali negativi, troppi. Ho 28 anni e due mesi fa m’hanno diagnosticato ulteriori problemi causati dalle cure effettuate per tenermi in vita. Ho iniziato a temere per la mia vita. Tornando a giocare, rischio la morte. E morire in campo, davanti agli amici e a chi mi vuole bene, non mi sembra una buona idea. Mi sono chiesto spesso cosa sia il coraggio, se insistere o rinunciare a un sogno troppo grande. Non ho risposta: mi fermo qui, ma a testa alta».
Domani. Il futuro ovale sarà con i giovani: «Ora ho bisogno di curarmi nel corpo e nella testa. Voglio staccare con tutto, pure con il rugby. Però tornerò. E lo farò quando starò bene».
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