“Barca Nostra” tra rispetto e polemiche. La Lega: «È solo propaganda politica»

Il segretario regionale Toni Da Re: «Non andrò a vederla». Il sociologo Bettin: «L’arte si deve interrogare sui temi di attualità»

VENEZIA. Per il presidente della Biennale, Paolo Baratta, Barca Nostra dovrà «invitare a un grande silenzio e alla riflessione». Ma il rumore di sottofondo che anima il dibattito politico, a poche settimane delle elezioni europee, si sta già facendo sentire intorno a “Barca Nostra”, il nome che l’artista svizzero Cristoph Büchel ha voluto dare al barcone peschereccio, simbolo del dramma dei migranti, affondato nel Canale di Sicilia il 18 aprile del 2015, con il suo carico di oltre 700 migranti, morti in fondo al mare.

Interpress/Gf.Tagliapietra. 07.05.19.- Biennale. "Barca Nostra" Arsenale
Interpress/Gf.Tagliapietra. 07.05.19.- Biennale. "Barca Nostra" Arsenale

«È solo propaganda politica», dice il segretario veneto della Lega, Gianantonio Da Re, nemmeno sfiorato dall’idea di visitare la Biennale per vedere il barcone con lo scafo squarciato.. «Rispetto per i morti di quella tragedia», prosegue Da Re, «ma non rispetto questa operazione non artistica ma politica, soprattutto a pochi giorni dalle elezioni europee del 26 maggio». Perché, è l’opinione di Da Re, «o si fa arte, o si fa politica». E, se si vuole fare politica, la si deve fare in «Europa, lì dove hanno avuto la responsabilità di lasciare sola l’Italia nella gestione dei migranti, lasciata sola nel Mar Mediterraneo».

La barca, però, potrebbe essere l’occasione per aprire una riflessione, un dibattito, anche aspro, ma che parta da lì, dalla forza di quel relitto squarciato che parla alla coscienza dei visitatori, o no? «Quel barcone non servirà a nulla, ne sono convinto», è la chiosa di Da Re, «e nemmeno sotto tortura andrò a vederlo». L’artista svizzero Büchel da sempre affronta, con le sue opere, i temi dell’attualità.

Sua fu l’idea, sempre alla Biennale d’arte (era il 2015) di trasformare la chiesa di Santa Maria della Misericordia - inutilizzata dal 1969 e di proprietà privata dal 1973 - in una vera e propria moschea, affidata alla comunità musulmana di Venezia. «Ma la Biennale ha nel proprio Dna questo tipo di interventi», ricorda Gianfranco Bettin, sociologo e presidente della municipalità di Marghera, quartiere tra i più multietnici del Veneto. «Basti pensare alla Biennale del dissenso (1977) o quella (1974) dedicata al Cile dopo il colpo di Stato di Pinochet, avvenuto l’anno prima. La Biennale è nel proprio tempo, anche con reperti, come il barcone di Büchel, che attraverso lo sguardo dell’artista ci parlano del tempo nel quale viviamo. È lo sguardo dell’artista a fare in modo che l’oggetto ci parli in modo artistico».

Vale per Barca Nostra così come per un altro progetto, firmato dall’artista Marco Godinho per il padiglione del Lussemburgo. E che, parlando del Mediterraneo, racconta anche del mondo delle migrazioni. A terra decine di quaderni immersi nel Mar Mediterraneo, “inzuppati” delle storie di chi lo ha attraversato nel corso dei secoli.

«Il barcone», aggiunge Bettin, «ci parla di una tragedia del nostro tempo, e sbaglia chi la butta in polemica, polemicuccia politica miope, senza capire la forza di questo gesto. Sono gli stessi che hanno trasformato Bella Ciao in un canto divisivo quando invece è stato un canto popolare, un canto di tutti, come ha ben capito il sindaco leghista di Montebelluna». «Per me il barcone è un invito a essere presenti, nel Mar Mediterraneo, come istituzioni, come società civile».

Ma non c’è forse il rischio che, nella moltiplicazione di opere e installazioni che i visitatori della Biennale dovranno affrontare, tra l’Arsenale e i giardini, il barcone diventi, per dirla semplice, un’opera tra le altre?

«È’ un rischio che», sostiene Bettin, «nelle grandi esposizioni c’è sempre, ma la potenza di quest’opera è così forte che, in questo caso, credo non ci sarà. Il barcone che attraversa Venezia, così come lo abbiamo visto ieri, è una scena che parla a tutto il mondo». —

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