Bancarotta per sei milioni imprenditori a giudizio
Secondo l’accusa, i vertici della «Ust» di Fossò, un tempo un’avviata azienda calzaturiera della Riviera del Brenta, avrebbero sottratto ai creditori beni (merce e macchinari passati ad una nuova società appositamente costituita) per ben sei milioni e 300 mila euro e per questo il pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto ha chiesto il rinvio a giudizio dei due soci titolari, Alessio Baldan e Alessandro Beda. Il rappresentante della Procura, comunque, ha dato il suo via libera al patteggiamento, trovando un accordo con i difensori, gli avvocati Marco Vassallo e Giuliano Tiribilli. Un anno e quattro mesi di reclusione ciascuno, trattandosi di imputati incensurati: questa la pena sulla quale era stato trovato l’accordo. Ieri, però, il giudice dell’udienza preliminare Roberta Marchiori, che avrebbe dovuto sancire il patteggiamento con la sua sentenza, non si è sentita di farlo senza ascoltare quello che aveva da dire il curatore fallimentare. La «Ust», infatti, l’8 ottobre di tre anni fa era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Venezia e, sulla base della relazione del curatore e delle conseguenti indagini della Guardia di Finanza, il rappresentante dell’accusa aveva chiesto il rinvio a giudizio di Baldan e Beda per bancarotta fraudolenta. Stando agli accertamenti, i due avrebbero lentamente sottratto poco prima della sentenza dei giudici civili lagunari merce e macchinari per la cifra astronomica poi contestata. Avrebbero dovuto consegnare tutto al curatore, al quale la legge affida il compito di risarcire i creditori, almeno di una parte di quello che la «Ust» doveva loro e merce e macchinari avrebbero potuto essere messi all’asta per raccogliere cifre considerevoli. Il giudice dell’udienza preliminare, al quale gli imputati hanno avanzato la richiesta del patteggiamento per evitare il processo in aula davanti al Tribunale e usufruire così dello sconto di pena di un terzo previsto dal codice, ha voluto chiamare e sentire il curatore, vista la considerevole cifra che i due - stando alle accuse- avrebbero sottratto ai creditori. Gli avvocati Vassallo e Tiribilli, pur caldeggiando il patteggiamento, avrebbero sostenuto che se i due imprenditori della Riviera si fossero trovati in crisi qualche mese dopo, invece che fallire avrebbero potuto rientrare nella nuova legge sul concordato preventivo, che ora permette di salvare le aziende - secondo i legali - così come hanno fatto prima delle nuove norme i due imputati. Avrebbero semplicemente avviato un’altra società, alla quale avrebbero passato macchine e magazzino, mentre alla decotta «Ust» sarebbero rimasti i debiti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia