Bambina nata invalida al Civile Chiesti 7 mesi per i due ginecologi
Quattro mesi di reclusione per il ginecologo Maurizio Montavoci, tre mesi per la collega Anna Calebotta e assoluzione per l’ostetrica Anna Battistel, tutti in servizio all’ospedale Santi Giovanni e Paolo di Venezia. Queste le richieste del pubblico ministero di Venezia Carlotta Franceschetti al giudice monocratico di Mestre Barbara Lancieri al termine del processo per le gravissime lesioni colpose provocate durante il parto ad una neonata, figlia di una coppia di veneziani, che è rimasta invalida al 100 per cento. I difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Barbara De Biasi per Montavoci, Renato Álberini per Battistin e Giuseppe Sarti per Calebotta, si sono battuti per l’assoluzione dei tre imputati. Mentre gli avvocati Elio Zaffalon e Maurizio Trevisan , costituiti parte civile per i genitori e i nonni della piccola, hanno chiesto la condanna sia dei due ginecologi sia dell’ostetrica e una provvisionale di 700 mila euro per la mamma e 650 mila per il papàper i danni non patrimoniali (per quelli patrimoniali è in corso la causa civile) e quasi 500 mila per i nonni. Visto che i difensori hanno concluso le loro arringhe dopo le 18, il giudice ha rinviato l’udienza al 22 aprile per eventuali repliche e per la sentenza.
La rappresentante dell’accusa, per le sue richieste finali, ha seguito l’impostazione e le tracce lasciate dalla perizia firmata dagli esperti chiamati dal giudice in udienza, dopo che i consulenti delle parti avevano presentato conclusioni contrastanti. «Quelle manovre non si potevano e non si dovevano fare». Questa la frase in risposta alle domande dei difensori che aveva riassunto l'intervento il 17 gennaio scorso del medico legale milanese Monica Cucci, nominata perito dal giudice monocratico. Le manovre, ben quattro, sono quelle che Montavoci (3) e Calebotta (1) avevano compiuto spingendo sulla pancia e l'utero della partoriente in un momento sbagliato. «Non sussisteva indicazione», scrivevano nella perizia Cucci e il ginecologo milanese Silvano Agosti, «alla esecuzione delle manovre, anzi in un bilanciamento rischi/benefici tale procedura risultava contrassegnata da un lato da scarse possibilità di successo, dall'altro dal realizzarsi di fattori idonei a cagionare lesioni fetali e materne». Tutto questo, continuavano i due medici milanesi, «rappresenta un elemento di censura in capo ai dottori Montavoci e Calebotta», visto che le loro manovre di pressione hanno causato «la sofferenza asfittica fetale».
I due periti, inoltre, avevano segnalato che per ben 38 minuti, sarebbe stata sospesa la registrazione del cuore del feto, registrazione che permette di scoprirne la sofferenza o meno. «Dalle 19,17 fino alle 19,55, ora d'inizio del taglio cesareo, in cartella clinica non si riscontrano rilevazioni e segnalazione della frequenza cardiaca fetale, ma nemmeno di altro genere...tale mancata registrazione cartacea è da considerarsi difforme dalla buona pratica medica» si leggeva nella perizia. A ancora: «Nel caso in esame la decisione di procedere con il taglio cesareo doveva essere assunta poco dopo le 19,20», mentre la decisione è stata presa successivamente. I due medici, infine, escludevano ciò che la difesa aveva sospettato: la somministrazione dell'anestetico per via epidurale non avrebbe prodotto alcuna grave conseguenza; lo stesso per quanto riguarda le tecniche di rianimazione nei confronti della bambina, «provvedimenti che per natura e tempestività sono da ritenersi del tutto corretti e adeguati alle esigenze della piccola».Per quanto riguarda le responsabilità, i due periti ritenevano che ricadano più sui due ginecologi che sull'ostetrica, visto che il ruolo di quest'ultima è subordinato a quello del medico ginecologo, cui incombe l'onere di valutare la paziente, verificarne le condizioni ostetriche, lo stato di benessere fetale e informare la paziente.
Giorgio Cecchetti
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