Aziende spolpate, vent’anni di carcere
Patteggiano i 7 membri dell’organizzazione. In prigione i capi, Anello e Garruzzo, ritenuti dall’accusa vicini alla ’ndrangheta
JESOLO. Sette patteggiamenti per un totale di 20 anni e 6 mesi di reclusione e il respingimento, con una sola eccezione, della richiesta di revoca delle misure restrittive.
Si è concluso così ieri, in tribunale a Venezia, il principale capitolo dell’inchiesta condotta dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) e coordinata dalla pm Paola Tonini nei confronti di un organizzazione - di cui alcuni esponenti di origine calabrese ritenuti vicini alla ’ndrangheta - specializzata nell’acquistare aziende in crisi per riciclare soldi sporchi e ordinare beni le cui ricche fatture, con il fallimento pilotato delle aziende, non venivano poi saldate ai fornitori. L’accordo sui patteggiamento a carico dei vertici dell’organizzazione criminale - ma ci sono altri sessanta indagati, le indagini proseguono - è stato raggiunto nell’udienza di ieri davanti al giudice Gilberto Stigliano Messuti. Sette le persone accusate di associazione per delinquere, bancarotta fallimentare, violenza privata - ma è caduta l’aggravante del metodo mafioso - indebito utilizzo delle carte di credito, ricettazione. Hanno patteggiato 4 anni ciascuno i due vertici dell’organizzazione: sono Antonio Anello (avvocati Antonio Muscimarro e Renato Alberini), ritenuto vicino alla cosca calabrese dei Fiarè e Michelangelo Garruzzo (avvocati Giuseppe Muzzupappa e Giorgio Pietramala), 56enne di Rosarno e domiciliato a Meduna di Livenza ritenuto vicino alla cosca dei Pesce. Pene più lievi per gli altri sodali dell’organizzazione, compresi i figli dei capi. Domenica Anello (32, di Catanzaro): 3 anni. Salvatore Garruzzo (31, di Oderzo): 2 anni, pena sospesa. Carmelo Garruzzo (Rosarno, 46 anni): 2 anni. Rocco Pellegrino (34, Catanzaro): 3 anni. Silvana Fiucci, (71, di Pescara): 2 anni e 6 mesi. I quattro - escluso Salvatore Garruzzo, pena è sospesa - sono ora costretti all’obbligo di firma o dimora, come stabilito dall’ordinanza di custodia del giudice, a marzo. Una decisione contro la quale la Tonini aveva presentato istanza al Riesame: i giudici avevano quindi deciso per i domiciliari, misure che saranno eseguite solo dopo che si concluderà il ricorso per Cassazione della difesa.
Attraverso le società acquisite, venivano messe a segno truffe ai danni di fornitori, istituti di credito e finanziari: i prodotti che venivano ordinati e poi consegnati dai fornitori non venivano pagati. E per evitare la reazione degli stessi truffati la ditta veniva fatta fallire per bancarotta in 90 giorni. Centocinquanta le imprese truffate tra Veneto e Friuli occidentale per un giro di 12 milioni, di cui 5 ai danni di imprese alimentari, 2 nei confronti di istituti bancari (attraverso leasing per acquisti di beni mobili inesistenti), 1 nei confronti di società petrolifere (indebito utilizzo di carte carburanti) più una bancarotta fraudolenta per circa 5 milioni di euro relativo all’azienda Chinellato di Marcon.
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