Assalti ai bancomat 41 colpi, undici arresti
Gli ultimi tre i carabinieri li hanno presi ieri mattina all’alba a Occhiobello. Tornavano a casa dopo aver fatto saltare il bancomat della filiale della “Banca Intesa San Paolo” di Prato. Daniele Antico, 59 anni, Luciano Conte (56) e Pietro Angelo Scarpa (48), in tasca avevano, ciascuno, diecimila euro e in auto gli attrezzi del mestiere, compresi una decina di barattoli di chiodi a quattro punte da gettare in strada, durante la fuga, in caso fossero inseguiti dalle forze dell’ordine.
Sono tre appartenenti alla banda che in meno di un anno, tra il 2013 e il 2014, ha messo a segno oltre quaranta colpi ai danni di bancomat e casse continue, fatti saltare con l’esplosivo, in Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Ieri i carabinieri della Compagnia di Chioggia del capitano Antonello Sini, hanno smantellato il gruppo eseguendo 11 ordinanze di custodia cautelari, tre delle quali riguardano anche i banditi arrestati a Occhiobello.
Le indagini sono iniziate nel gennaio 2013 e hanno portato a 11 ordinanze di custodia cautelare (otto in carcere e tre ai domiciliari) e un’ordinanza cautelare di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Si tratta di pregiudicati e di alcuni insospettabili residenti nella Riviera del Brenta e nella provincia di Rovigo. I colpi, tutti commessi utilizzando esplosivo da cava, sono stati commessi ai danni di bancomat nelle province di Venezia, Ferrara, Ravenna, Bologna, Rimini, Forlì Cesena, Pesaro Urbino, Mantova, Modena e Verona. Tutti gli assalti sono stati messi a segno inserendo una scatola metallica (una cosidetta “piattina”) carica di esplosivo all’interno della fessura di erogazione del denaro. Nella stessa indagine sono stati inoltre individuati, oltre alle “batterie” operative che cambiavano di volta in volta, i canali di approvvigionamento dell’esplosivo e la fitta rete di copertura per la custodia dei veicoli rubati utilizzati per gli assalti, spesso in luoghi non direttamente riconducibili agli indagati.
Le indagini hanno consentiti di dimostrare come il gruppo operava in maniera professionale, non lasciando nulla al caso e con modalità studiate e diventate standard: ricognizione dei possibili obiettivi per verificare le vie di fuga e l’esistenza di sistemi d’allarme e di ripresa video; l’oscuramento dell’illuminazione pubblica e delle telecamere di videosorveglianza della banca spaccandole con pietre lanciate con una fionda; il posizionamento dell’auto a distanza di sicurezza, con la creazione di vie di fuga mediante il taglio delle recinzioni delle proprietà private nei dintorni del bancomat; l’esplosione dei cash dispenser mediante l’inserimento di una “piattina” metallica contenente l’esplosivo, dopo aver forzato la bocchetta di erogazione del contante; utilizzo, nelle fasi organizzative dei colpi, di comunicazioni telefoniche esclusivamente mediante cellulari ritenuti “puliti”, intestati a prestanome; utilizzo di ricetrasmittenti durante le fasi operative degli assalti. «Andare a mangiare» significava andare a fare il colpo; il «tappamento» era il nascondiglio dell’esplosivo e delle auto; il «tocco» era la piattina carica di esplosivo già pronta.
Il gruppo aveva sostituito il materiale esplosivo utilizzato nei primi colpi (polvere pirica) con esplosivo da cava. Materiale con maggiore potere esplodente, tanto da avere causato, in alcuni casi, danni alle auto parcheggiate vicino agli istituti di credito e perfino un rilevante danno strutturale a una abitazione sovrastante la banca.
I carabinieri, nell’ambito dei servizi di prevenzione, svolti specie di notte, avevano indirizzato la loro attenzione ai movimenti sospetti di alcuni pregiudicati che, specie tra il sabato e il martedì (esclusa la domenica e con una pausa dalla seconda decade di giugno 2013 al 24 agosto dello stesso anno), erano soliti effettuare uscite notturne prolungate e proprio in concomitanza della maggiore presenza di contante negli sportelli bancomat. Si stima che i malviventi abbiano procurato un danno che ammonta a circa due milioni di euro. L’operazione, che si è svolta in Veneto ed Emilia Romagna, ha visto impegnati 150 carabinieri. L’indagine è stata coordinata dal pm Stefano Ancillotto, mentre le ordinanze sono a firma del gip Roberta Marchiori.
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