«Aspettiamo di conoscere gli autori delle sparatorie»

I due episodi avvenuti nei pressi del villaggio di Favaro non sono ancora chiari Percorso per inserire le 23 famiglie che hanno chiesto le case popolari
Di Francesco Furlan

«Gli arresti mettono in rilievo una volta di più che i comportamenti delinquenziali provengono sostanzialmente da uno stesso nucleo familiare». Lo dice il vicesindaco e assessore ai Servizi sociali Sandro Simionato dopo l’operazione di carabinieri e polizia che ha portato all’arresto in carcere di Gaetano Braidic e di due dei suoi figli, ai domiciliari. «Il volontario e provvisorio allontanamento di questa famiglia dal villaggio di via del Granoturco avvenuto nelle ultime settimane» aggiunge Simionato «ha consentito al resto della comunità sinta di vivere questo breve periodo in una condizione di maggiore tranquillità. Ci auguriamo che presto vengano consegnati alla giustizia anche coloro che si sono resi responsabili delle due sparatorie avvenute in prossimità del villaggio». E ancora: «Rimango convinto che i reati vadano perseguiti fino in fondo indipendentemente da chi li commette, ma che non si possa far ricadere su tutte le famiglie sinte le gravi responsabilità di una o di alcune di esse». Gaetano Braidic ha vissuto al campo sinti fino a un mese fa perché voleva stare vicino al figlio Massimo, lì agli arresti domiciliari per furti, fino a che ha ottenuto l’autorizzazione a fargli scontare la pena a San Giovanni al Natisone. Uno spostamento che pare avere portato un po’ di tranquillità al villaggio di via del Granoturco. Dei 38 alloggi del villaggio, oggi ne sono abitati 32 (anche alcuni gruppi vanno e vengono, spostandosi in altre in città o alloggiando per periodi da parenti) mentre sono 23 le famiglie che hanno fatto richiesta di lasciare il campo e di poter andare ad abitare in un alloggio pubblico.

Dai Servizi sociali del Comune fanno però sapere che, proprio in virtù dell’allontanamento dei Braidic, il numero delle famiglie che se ne vuole davvero andare dovrebbe ridursi a quindici. Ci sarebbero quindi altre 17 famiglie disposte a restare nel villaggio, per il quale a quel punto si prospetterebbe una soluzione mista, con alcune casette che potrebbero restare ai sinti, e le altre, quelle lasciate vuote, che potrebbero servire a dare una sistemazione temporanea alle famiglie in grave emergenza abitativa, o essere usate come sedi di associazioni e di gruppi di volontariato. Ipotesi sulle quali sta lavorando il Comune, in parallelo con il percorso avviato, in rispetto delle graduatorie, per spostare le famiglie che lo desiderano in case del comune. L’operazione delle forze di polizia riapre uno scontro che non si è mai chiuso tra i favorevoli e i contrari al progetto. «Un campo ghetto, il più grande errore fatto dalla giunta Cacciari, un fallimento di cui gli arresti di ieri sono solo l’ultima conferma» tuona Alessandro Vianello, consigliere comunale (ex Lega Nord) «un campo nel quale regna l’anarchia e che rappresenta un problema non solo per Favaro ma per tutta la città».

Convinto che il campo debba essere chiuso «il prima possibile per avviare vere politiche di integrazione, con percorsi di inserimento scolastici e lavorativi» è anche il consigliere comunale Renato Boraso. «In quel campo ci sono famiglie per bene che vivono con grande disagio quel che sta accadendo, e che non vedrebbero l’ora di andarsene via» dice Boraso «spero che il Comune, una volta per tutte, decida di chiuderlo e di trovare soluzioni alternative per le famiglie». Soddisfazione per l’esito dell’operazione anche da parte del presidente della Municipalità, Ezio Ordigoni, che nei giorni della faida era anche intervenuto con i rappresentanti delle nazionali di alcune associazioni delle comunità nomadi «chiedendo loro di intervenire per cercare di risolvere una questione che stava preoccupando tutto il quartiere».

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